La testimonianza

Il virus che fa tornare al Sud. La storia di Dania: «Se dovessi scegliere, rimarrei qui»

Francesco De Marinis
Francesco De Marinis
Dania Copertino
Da due settimane è tornata a Corato per lavorare da casa dopo aver fatto lavoro agile per tutta l'estate. «Qua si vive meglio che a Milano»
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«Qua si vive meglio che a Milano. Se dovessi scegliere prenderei casa qui». La storia di Dania Copertino è quella di tanti giovani pugliesi emigrati al nord che stanno riscoprendo la gioia di tornare nei luoghi d’origine grazie allo smart working.

Le città del meridione sono tornate a ripopolarsi, svuotando le grandi metropoli e alimentando un fenomeno ribattezzato South Working. Milano, ad esempio, negli ultimi vent’anni ha visto arrivare 100.000 nuovi residenti provenienti soprattutto dal Sud e, a cavallo del primo lockdown, è crollato inesorabilmente il suo mercato immobiliare. Anche a causa dello smart working, così diffuso nelle grandi aziende.

Ma torniamo a Dania. Ha 34 anni e lavora per McCann Health, spin off medica dell’agenzia pubblicitaria americana che gli amanti delle serie tv Mad Man ricorderanno sicuramente. Ha lasciato Corato sei anni fa, viaggiando e lavorando in Italia e all’estero prima di trasferirsi definitivamente a Milano. Gli uffici dell’azienda si trovano in un grande palazzo alla periferia est del capoluogo. Spazi enormi che oggi vengono frequentati da 12 dipendenti alla volta (monitorati da un’app appositamente creata dall’azienda), proprio per via dello smart working che, per lei e i suoi colleghi non è stata una novità legata alla pandemia.

«Subito dopo l’assunzione firmammo un contratto che prevedeva uno o due giorni a settimana di lavoro da casa. – conferma – Il 22 febbraio, a inizio pandemia, i soci dell’agenzia hanno deciso di ampliare preventivamente lo smart working preventiva facendoci lavorare totalmente da casa». Da allora è rientrata in ufficio a settembre, dopo aver passato gran parte dell’estate nella sua terra d’origine.

«Sono tornata a Corato due settimane fa – racconta – anche perché a Milano non conviene stare con file chilometriche ai supermercati e l’ombra di un nuovo lockdown come quello di marzo». Lo spettro della prima ondata è ancora vivo nei pensieri di Dania che ha avuto modo di viverlo a stretto contatto con medici, virologi e infermieri. «Con l’agenzia abbiamo curato la comunicazione emergenziale degli ospedali di Lodi e Codogno. Avevo paura ad andare in giro perché pienamente consapevole di quanto accadeva nei reparti. A Corato sono rimasta sconvolta nel vedere che nessuno utilizzava la mascherina. Anzi, c’era chi mi guardava come se fossi un’infetta».

Dopo aver sperimentato un sistema misto di lavoro e in presenza e non, e due lunghi periodi di totale smart working sia a Milano che a Corato, Dania è la persona ideale per poter mettere sul piatto pregi e difetti del lavoro agile. «Sicuramente viene meno il contatto con le persone che una videochiamata non può sostituire. Quando sono tornata in ufficio mi sono resa conto del piacere di ritrovarsi con i colleghi alla macchinetta del caffè. Ti dà la possibilità di ricevere tanti di quegli input che aiutano a migliorare il proprio lavoro. Abbiamo provato a replicare quel momento con una chat su Teams ma non è la stessa cosa».

E qui tocchiamo il secondo tasto dolente, quello dell’iperconnessione e della difficoltà di staccarsi dal lavoro. «Durante il primo lockdown non facevo altro che lavorare, anche per la mancanza di svaghi. Adesso mi sto ponendo dei limiti per poter dividere la vita privata da quella d’ufficio».

Ovviamente, da contraltare, ci sono tanti aspetti positivi. «A casa ci si riesce a concentrare di più e riesco a gestire meglio il mio tempo. Fino ad un anno fa facevo una vita frenetica, non stavo mai nello stesso posto per più di una settimana. Calcolavo la mia vita al minuto: appuntamento, ufficio, call, palestra, cena e schiscetta da portare a lavoro il giorno dopo. Una volta, in poco più di un giorno ho partecipato a due eventi a New York e a Roma. Oggi è piacevole poter fare il bucato con calma o alzarsi poco prima di una call senza dover correre in ufficio».

Un benessere ritrovato anche grazie alla possibilità di poter lavorare da casa e non parliamo della stanza in affitto a Milano ma lì dove sono presenti le radici e gli affetti, con quei ritmi di vita più lenti e più familiari. «Ho sofferto nel non poter vedere spesso la mia famiglia, se non pochi giorni all’anno. Passare con loro quest’estate è una cosa che non scambierei per nessuna ragione al mondo. Lo smart working avremmo dovuto impararlo prima».

giovedì 5 Novembre 2020

(modifica il 20 Luglio 2022, 18:42)

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carlo mazzilli
carlo mazzilli
3 anni fa

figghja bbell, da un lato to capisco, ma dall'altro considera che questa pandemia prima o poi finirà … o ci abitueremo e cambieremo radicalmente tutte le nostre abitudini. ma in entrambi i casi qui al sud andrà sempre peggio, chiuderà tutto, privati, pubblico, finirà tutto. al nord, più infrastrutturato ci saranno più possibilità. nelle grandi democrazie europee ce ne saranno ancora un pò di più. perciò pensaci bene e taglia la corda. ti abbraccio, figghja bbell!

nerdrum
nerdrum
3 anni fa

Il virus colpisce i polmoni…. ed anche la mente di qualcuno.

Costantino
Costantino
3 anni fa

Chi disprezza compra.