L’intervista

In fuga dalle bombe di Kiev. Michele Vangi: «Il mio cuore è nelle città torturate»

Giuseppe Cantatore
Giuseppe Cantatore
Michele Vangi durante una lezione a distanza con una studentessa ucraina
«Continuo a insegnare a distanza agli eroici studenti ucraini rimasti sotto le bombe. Mi hanno fatto venire i brividi quando hanno chiesto di non parlare della guerra ma solo di fare lezione, per avere un po' di normalità»
2 commenti 3877

«Sono fuggito da Kiev una settimana prima dell'attacco. Ora sono in salvo, ma il mio cuore è rimasto nelle città torturate. Nessuno consideri questa guerra una cosa che non ci riguarda». Più che le parole, è il tono con cui vengono pronunciate a far capire quanto sia profondo il dramma della guerra. Michele Vangi ha 46 anni vive nella capitale ucraina dal settembre 2019. Lì lavora come professore associato di filologia tedesca per l'università linguistica di Kiev e per un'organizzazione tedesca che si occupa di scambi accademici. E questo dramma l'ha visto crescere lentamente, fino al culmine dell'invasione che ha preso forma all'alba del 24 febbraio.

«Una ventina di giorni prima dell'attacco russo, l'organizzazione tedesca per cui lavoro ci tranquillizzava» ci racconta Michele al telefono. «Poi il livello di allarme dell'ambasciata è rapidamente passato da 1 a 4 su una scala di 5. Allora, una settimana prima dell'invasione, la stessa organizzazione ci ha intimato di lasciare subito l'Ucraina con mezzi privati. Io sono fuggito a Berlino, ma altri hanno scelto di rimanere fino all'ultimo. Ho provato a convincerli, ma non ne hanno voluto sapere perchè non credevano fino in fondo alla possibilità di una invasione. Ma poi si sono ritrovati ad assistere ai bombardamenti e alle corse nei rifugi: senza dubbio scenari da seconda guerra mondiale. Ho particolarmente insistito, senza successo, con un amico che aveva anche ricevuto dall'ambasciata italiana diverse email in cui si consigliava di partire o, in alternativa, di fare rifornimento di carburante e indumenti caldi. Le email contenevano persino le indicazioni per raggiungere i bunker che a Kiev si trovano nella metropolitana.

Sei in contatto con tante persone che si trovano ancora in Ucraina: cosa ti raccontano?
«Per fortuna gli italiani che conosco ora sono in salvo in Polonia, tranne uno che ha scelto di restare. Altri colleghi ucraini, invece, si sono allontanati dalle città e sono andati a rifugiarsi nelle dacie (case di campagna, ndr). Le scene alla partenza sono comunque state apocalittiche: la strada sulla quale si sono formate code chilometriche, le cui immagini hanno fatto il giro del mondo, si trova vicino casa mia. È proprio qui la perfidia di questa invasione: i russi hanno deciso di attaccare non solo nelle zone contese ma anche a ovest, che è la direzione verso la quale la gente sta fuggendo, proprio per mettere in difficoltà i civili. Hanno puntato anche verso ovest dove nessuno pensava che sarebbe accaduto qualcosa e dove in tanti hanno cercato rifugio. Di certo l'invasione è stata del tutto programmata e, una volta partita, è andata avanti in maniera inesorabile».

Fino a quando gli eventi non sono precipitati, nella popolazione c'era la consapevolezza che potesse accadere qualcosa del genere?
«Ho sempre percepito nella gente una latente sensazione di insicurezza e paura della Russia che però era riferita soprattutto alle zone di confine come quella del Donbass. A Kiev, invece, la situazione è sempra stata molto tranquilla. Ci vivono molti italiani e con molti di loro ho rapporti di amicizia e frequentazione. A partire dallo scorso novembre è però iniziata una escalation di tensione dovuta alle minacce russe. Crisi di questo tipo, in realtà, si ripetono puntualmente dal 2014 e si verificano spesso in inverno quando il gas russo, da cui anche l'Ucraina dipende, diventa particolarmente necessario. Per questo, anche stavolta gli ucraini hanno pensato alla solita "strategia della tensione" e hanno quindi sottovalutato quanto stava accadendo.

Fino a gennaio anche io avevo la stessa percezione visto che, pur parlando sempre di questo problema incombente, la vita procedeva regolarmente. Ad un tratto, però, qualcosa è cambiato di colpo: da quel momento ho iniziato a mettere in conto il peggio perchè mi accorgevo che, rispetto ad altre volte, la situazione non accennava a ridimensionarsi. Poi Putin ha parlato in tv e ha praticamente riscritto la storia e negato l'esistenza dell'Ucraina: quel discorso ci ha dato la certezza dell'attacco che si temeva arrivasse proprio da nord. È evidente che non si possa discutere la questione sul piano della razionalità».

La tua normalità è stata travolta: che giorni stai vivendo?
«Qui a Berlino sono in una sede dell'organizzazione e sono in salvo, sto persino continuando a insegnare a distanza a degli studenti ucraini che sono rimasti pur sotto il caos delle bombe. Mi hanno fatto venire i brividi quando hanno chiesto di non parlare della guerra ma solo di fare lezione, per avere un barlume di normalità. Ho trovato eroica la loro richiesta. Intanto guardo le immagini in tv e mi si spezza il cuore: Kiev è una città bellissima e antica, culla della cultura slava, europea al 100% e custode di un patrimonio millenario che spero non vada distrutto».

Dinanzi a tutto questo, che prospettiva vedi per il futuro?
«La mia vita personale è inevitabilmente legata a ciò che succederà. Vedo due scenari: il primo è quello dell'insediamento di un governo diretto dal Cremlino e in questo caso la mia organizzazione ritirerebbe subito le sue rappresentanze, come d'altronde ha già fatto in Russia. Il secondo scenario riguarda una ulteriore frammentazione del Paese che porterebbe alla creazione di nuove repubbliche e allo spostamento della linea del fronte ancora più a ovest. In questo caso l'Ucraina diventerebbe del tutto impraticabile. Ovviamente non credo di poter tornare lì nei prossimi mesi ed è straziante essere costretto a interrompere un pezzo di vita a causa della guerra».

lunedì 28 Febbraio 2022

(modifica il 2 Agosto 2022, 21:04)

Notifiche
Notifica di
guest
2 Commenti
Vecchi
Nuovi Più votati
Inline Feedbacks
Vedi tutti i commenti
dina di
dina di
2 anni fa

Di tutto questo dobbiamo ringraziare gli Americani, che in un paese legato da secoli alla Russia hanno portato al potere con un colpo di stato un attore comico nazionalista manovrato da Biden e smanioso di portare la Nato nel fianco della Russia

franco
franco
2 anni fa

NON CAPISCO PROPRIO IL COMMENTO DI dina di| se legge bene le parole del prof VANGI troverà l'aggettivo europea che non ammette altro significato-boh