Cultura

L’ultimo lavoro di Pasquale Tandoi sulla storia cittadina: Donne e uomini di Corato nella Resistenza

La Redazione
L’ultimo lavoro di Pasquale Tandoi sulla storia cittadina: Donne e uomini di Corato nella Resistenza
Il volume porta a termine il discorso iniziato anni fa con la trilogia sul fascismo nella nostra città. Racconta molte storie di nostri concittadini, all'interno di un'unica Storia
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Si intitola "Donne e uomini di Corato nella Resistenza" ed è l'ultimo lavoro di Pasquale Tandoi sulla storia cittadina. Il volume porta a termine il discorso iniziato anni fa con la trilogia sul fascismo nella nostra città. Racconta molte storie di nostri concittadini, all’interno di un’unica Storia: quella della lotta di tanta parte del popolo italiano che volle liberare l’Italia dal tedesco invasore e dalla dittatura.

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Il libro, nonostante abbia un raggio di ricerca limitato ai coratini, può consentire alcune riflessioni di carattere più generale sulla Resistenza. Per troppo tempo, la storiografia “canonica”, tradizionale, ha ignorato altri protagonisti della guerra di liberazione. La Resistenza non fu solo pugno chiuso alzato, fazzoletto rosso al collo e Bella ciao. Fu molto di più. Studi recenti, più obiettivi, hanno sottolineato il ruolo di numerosi soggetti della lotta antifascista “dimenticati”: i soldati, le donne, i meridionali, le persone comuni, spesso anonime, non militanti nelle formazioni partigiane. Molti di loro non usarono le armi, ma, dopo l’8 settembre del ’43, dissero no in tanti modi al nazifascismo. Ognuno agì con opinioni e propositi diversi, ascoltando solo la propria coscienza.

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Accanto ad una Resistenza incentrata su un consapevole progetto politico-militare, vi fu una Resistenza molto più diffusa e multiforme, che ebbe le sue radici nella stanchezza e nel rifiuto della guerra e che si manifestò, soprattutto da parte dei giovani, con la renitenza alla leva obbligatoria della RSI e al lavoro coatto imposto dai tedeschi. L’8 settembre del 1943 il Paese si disgregò e precipitò nel caos di un vuoto istituzionale senza precedenti. Fu la pagina più nera e vergognosa della storia dell’Italia dall’Unità. Gran parte degli Italiani si sentì abbandonata, tradita dalla politica. I soldati non avevano più i capi di Stato Maggiore, nessuno pensò a loro in Italia e fuori. I comandi si dissolsero. Molti militari, rimasti senza ordini e senza guida, cominciarono ad abbandonare le caserme, si tolsero le divise e assunsero un rattoppato aspetto civile, indossando qualsiasi indumento. Iniziò un fuggi fuggi generale, avendo come meta la casa, la sposa, la madre. Al diavolo la guerra, Mussolini e il re.

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Ma quell’8 settembre se, da un lato, fu il giorno in cui tutto finì, nello stesso tempo fu il giorno in cui un’altra Storia cominciò. Non tutto il Paese accettò di ridursi a spettatore di quello che facevano gli altri, Alleati e tedeschi. Oltre agli attendisti, che stavano alla finestra aspettando l’evoluzione degli eventi, in quell’Italia “dimissionaria” ci furono cittadini che vollero essere attori, protagonisti. Si divisero in due consistenti e antagonistici schieramenti: iniziò lo scontro fratricida tra “repubblichini” e “banditi”. Da una parte, c’erano coloro che aderirono alla Repubblica Sociale Italiana, con cui Mussolini si illudeva di reinventare il fascismo delle origini. Il tempo delle parole, però, si era esaurito: era solo un simulacro di governo sotto tutela tedesca. Dall’altra parte, quelli che si riconobbero nella Resistenza, antifascista e antitedesca. In Italia le bande partigiane nacquero, in genere, quando un certo numero di militari si vergognò dello sfacelo dell’eserci­to, non accettò la resa ai tedeschi, non gettò le armi.

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Poi, sempre più, a migliaia, soldati e ufficiali, decisero di salire in montagna per il riscatto morale dell’Italia. I primi nuclei partigiani organizzati furono costituiti proprio da militari, non da “sovversivi”. Immediatamente dopo, si aggregarono tantissimi ragazzi di leva dei centri settentrionali che non ci stavano a rischiare l’ultima pallottola in una guerra ripugnante e perduta e non si presentavano agli ordini della Repubblica di Salò. Si rifugiarono nei boschi e nei casolari di montagna. Qui trovarono altri sbandati come loro e vennero riorganizzati e trasformati in partigiani o patrioti, dall’azione combinata di ufficiali e sottufficiali che non si erano dati per vinti e di qualche politico antifascista, rientrato dall’estero o dal confino.

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In queste bande rinacque l’Italia, ma era un’altra Italia, non solo rispetto a quella ormai naufragata del du­ce, ma rispetto pure a quella del re, irrimediabilmente compromessa con quella di Mussolini. L’Italia era lacerata e ferita, ma non vi fu la morte della patria. Centinaia di migliaia di combattenti volontari si opposero al collasso. Decisero di “resistere” all’oppressione nazifascista. Resistettero i soldati che presidiavano l’isola greca di Cefalonia, fucilati per essersi opposti ai tedeschi. Si opposero i 600mila soldati e ufficiali internati in Germania, che preferirono restare nei lager a patire la fame e le angherie piuttosto che tornare a fianco dei nazifascisti. Combatterono migliaia di soldati insieme agli Alleati per libera­re il territorio italiano dai tedeschi. Diedero un contributo importante le suore e i sacerdoti che protessero e nascosero gli antifascisti, i soldati sbandati e gli ebrei. Furono determinanti anche i contadini che, spesso, avrebbero prefe­rito restare tranquilli per i fatti loro, ma, messi di fronte a una scelta, fecero quella più rischiosa e aiutarono quei ragazzi che avrebbero potuto essere loro figli. Reagirono operai, impiegati, intellettuali. Lottarono carabinieri, poliziotti e finanzieri. Contrastarono il nazifascismo donne e uomini di ogni estrazione sociale. Insomma, resistette tanta parte del popolo italiano.

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In questa visione si inserisce il contributo di centinaia di coratini, fra militari, forze dell’ordine, civili, donne, giovanissimi e adulti. Si opposero al nazifascismo in varie parti d’Italia e d’Europa: a Roma e nel Lazio, in Toscana, in Liguria, in Emilia Romagna e soprattutto in Piemonte. E poi in Spagna, in Francia e tra i partigiani greci, albanesi e jugoslavi. Tanti coratini pagarono con la vita, con il carcere, con le torture, con l’internamento nei campi in Germania e in Polonia. Numerose le storie, tragiche ed eroiche, descritte nel libro: quelle di Cataldo Grammatica, di Cataldo Doria, di Cataldo Nesta, di Felice Loiodice, di Nunzio Strippoli, di Nicola Bucci, di Felice Scaringella, di Salvatore Mastromauro, di Vittorio Visicchio, di Michele Amorese e di molti altri ancora. Il loro sacrificio non fu vano. Contribuirono alla rinascita della Patria. Da oggi nelle librerie di Corato.

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venerdì 10 Dicembre 2021

(modifica il 3 Agosto 2022, 0:00)

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