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Giorno del ricordo delle Foibe, la lettera aperta dell’Anpi

La Redazione
Il dramma delle Foibe
Si celebra oggi la solennità istituita con lo scopo di ricordare i massacri delle foibe e l'esodo giuliano dalmata. Per l'occasione Giovanni Capurso, presidente Anpi Corato, ha diffuso una lettera aperta
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Si celebra oggi il Giorno del Ricordo, solennità istituita con lo scopo di ricordare i massacri delle foibe e l'esodo giuliano dalmata. Per l'occasione Giovanni Capurso, presidente Anpi Corato, ha diffuso una lettera aperta proposta di seguito integralmente.

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«Gentile Direttore, ho deciso di scriverLe in occasione della ricorrenza del “Giorno del Ricordo”, che si celebra il 10 febbraio, per manifestare la mia forte preoccupazione in merito a una grave deriva del nostro tempo. Anticipo le mie scuse a Lei e ai lettori per la lunghezza della missiva, ma il tema credo che meriti un’opportuna argomentazione.

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Oggi abbiamo pronte, come su un vassoio, una quantità di informazioni potenzialmente infinita, ma molto spesso si tratta di una comunicazione che rimane in superficie, che non scava nelle ragioni profonde e non si interroga. Così con il cambiare delle generazioni, i figli assomigliano sempre più ai loro tempi che ai loro padri, direbbe Marc Bloch [1]

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L’appiattimento sul presente sta generando una rapida estinzione della memoria collettiva. È un fenomeno che, nel celebre saggio Il secolo breve, Eric Hobsbawm ha spiegato molto bene: “La distruzione del passato, o meglio la distruzione dei meccanismi sociali che connettono l’esperienza dei contemporanei a quella delle generazioni precedenti, è uno dei fenomeni più tipici e insieme più strani degli ultimi anni del Novecento. La maggior parte dei giovani alla fine del secolo è cresciuta in una sorta di presente permanente, nel quale manca ogni rapporto organico con il passato storico del tempo in cui essi vivono” [2]. Per essere concreti, questo processo si traduce in accostamenti aberranti come, per fare une esempio recente, le sfilate da prigionieri ebrei dei lager nazisti con la stella di David gialla durante le manifestazioni no green pass. A questo regresso storico, negli ultimi anni, si cerca di rispondere generando anticorpi attraverso dei segni visibili come pietre d’inciampo, murales, e viventi come piantumazioni di alberi. Cose che sta facendo anche l’ANPI di Corato nel suo piccolo da quando è nata.

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Come possono invece rientrare le foibe in questo processo di appiattimento? Inizio col dire che sulla vexata quaestio, diversamente da quanto comunemente si crede, gli storici già da tempo sono abbastanza concordi sul contesto in cui si svilupparono queste stragi. Anzi, è talmente ovvia da essere normalmente inquadrata da un docente di storia a partire dalla “vittoria mutilata” di dannunziana memoria. Il problema è la restituzione fatta all’opinione pubblica attraverso un uso soprattutto politico della vicenda come si è avvenuto negli ultimi anni. Precisiamo, a tal proposito, una cosa fondamentale: non c’è servizio peggiore che si possa fare alla ricerca storica se non il suo uso a fini politici. Purtroppo, l’equiparazione con l’Olocausto è un topos che si sta affermando sempre più spesso nell’uso politico di questa vicenda. Secondo tale costruzione simbolica, le foibe sarebbero “la nostra Shoah” e chi ne sminuisce la portata viene di conseguenza accusato di “riduzionismo” se non di “negazionismo”. È necessario invece ribadire l’importanza della comprensione dei fenomeni storici nella loro complessità, evitare che una narrazione deformata, o che si limita a spiattellare numeri senza fare ermeneutica, crei divisioni.

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Per non cadere in retaggi ideologici, le foibe vanno inquadrate all’interno di un preciso contesto storico e geografico. Dopo la Grande Guerra, l’Italia chiese, da un lato, il rispetto degli accordi di Londra, senza alcun riguardo per il principio di nazionalità verso i popoli slavi; dall’altro, rivendicò proprio in virtù dello stesso principio di nazionalità la città di Fiume. Nei territori assegnati all’Italia, il fascismo iniziò precocemente una forzata e brutale italianizzazione della popolazione slava: imposizione dell’italiano come unica lingua pubblica, chiusura delle scuole slovene e croate, divieto di celebrare le funzioni religiose in lingua slava; chiusura delle organizzazioni economiche, culturali e ricreative slovene. Con l’invasione italo-tedesca della Jugoslavia del 1941, anche nell’area giuliano-dalmata e istriana si scatenò una violenta guerriglia partigiana, cui gli italiani risposero con arresti, fucilazioni, rastrellamenti, deportazioni anche di popolazioni civile (circa 3000 persone) in campi di internamento, i più noti dei quali sono quelli di Gonars (Udine) e dell’isola di Rab (Arbe), dove moltissimi morirono di stenti.

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Dopo l’armistizio del settembre 1943 i rastrellamenti diventarono ancora più feroci, come quello che colpì il paese di Lipa, vicino Fiume, distrutto il 30 aprile 1944 da truppe fasciste e naziste, che uccisero 269 persone (molte delle quali bruciate vive). L’arresto indiscriminato e la tortura diventarono pratiche comuni, portate avanti dalla Gestapo, ma anche da gruppi paramilitari che operavano quasi autonomamente. Inoltre a Trieste si costituì l’unico campo con pratiche di sterminio presente sul territorio italiano: la Risiera di San Sabba. Utilizzata per la deportazione della popolazione ebraica verso i lager della Polonia, la Risiera venne utilizzata anche da campo di eliminazione per i partigiani locali, sia italiani che jugoslavi. Le vittime dirette del lager, gestito dalle autorità naziste ma a cui contribuirono attivamente le delazioni e gli arresti compiuti dai fascisti, furono circa 5000.

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Anche il riferimento all’uccisione di bambini è un luogo comune del tutto inventato. Gli studiosi che hanno condotto ricerche approfondite hanno individuato due o tre casi di bambini e adolescenti morti nelle violenze di cui stiamo parlando: si tratta evidentemente di episodi isolati relativi agli scontri a fuoco (siamo nel pieno di una guerra di Liberazione). Lo stesso vale per le vittime femminili, perseguitate per il loro ruolo, per la loro appartenenza familiare e politica o perché ritenute spie. Esse rappresentano circa il 5% delle vittime e sono certamente un obiettivo privilegiato di chi compie le violenze. L’insistenza sulla presenza di donne e bambini tra le vittime delle foibe è dunque un artificio retorico, volto a creare l’immaginario di un popolo innocente massacrato senza pietà [3]. Un esempio lampante sono le 198 vittime pugliesi: per quanto ne sappiamo furono non a caso tutti uomini.

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Nei giorni successivi le autorità tedesche resero note le uccisioni compiute dai partigiani, orchestrando una grande campagna propagandistica. I mass media nazisti mostrarono per mesi i corpi delle vittime ritrovati nelle foibe, con lo scopo di evidenziare la “barbarie slavocomunista”, di diffondere odio e paura, e di presentarsi come unici tutori dell’ordine in un contesto che, diversamente, sarebbe stato travolto dall’anarchia. Le stesse donne processate furono in numero limitato, perché evidentemente poche donne ricoprivano incarichi importanti nel regime fascista. La volontà degli aggressori era infatti quella di colpire solo determinate categorie di persone, ritenute, a torto o a ragione, responsabili dell’oppressione subita per più di due decenni. Per farLe ancora un esempio, le 198 vittime pugliesi, comprese le cinque coratine, erano in buona parte carabinieri, militari e funzionari pubblici che avevano aderito alla Repubblica sociale di Salò o erano comunque collaborazionisti.

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Approfitto, a tal proposito, per elencarLe i nomi dei cinque caduti coratini tenendo conto dei dati più attendibili: Olivieri Pasquale, Tandoi Pasquale, Longo Nicola, Longo Filiberto, Olivieri Francesco. Di loro va mantenuta una giusta memoria affinché le tragedie e gli errori del passato siano un monito per il presente».

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[1] M. Bloch, Apologia della storia o il mestiere dello storico, Einaudi, Torino, 1950, p.48.

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[2] E. Hobsbawm, Il secolo breve, Rizzoli, Milano, 1995, p. 14.

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[3] Eric Gobetti, E allora le foibe?, Laterza, 2020, p. 28.

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giovedì 10 Febbraio 2022

(modifica il 2 Agosto 2022, 21:36)

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Vincenzo Pavan
Vincenzo Pavan
2 anni fa

Grazie di questo bel contributo. Siamo in un contesto di guerra: a 'violenza' subita prima si è risposto con altra violenza (macabra) dopo! Ma gli Ebrei, invece, che violenza avevano perpetrato? Nel giorno della 'memoria ' si condanna la violenza ideologica (direi anche gratuita) che causò tante efferatezze senza nessuna reazione delle popolazioni ebraiche. Si possono magari contrapporre le foibe alle Fosse Ardeatine non alla Shoah. Chi fa questo non ha capito niente o fa finta di non aver capito niente. Vuole forse rimuovere dalla coscienza le immagini di tanta, immane barbarie con le immagini di altra barbarie che comunque va iscritta, quest'ultima, in un contesto di prevaricazioni e provocazioni. Ovviamente condanniamo entrambe, ma il punto di partenza è diverso.

Gaetano Bucci
Bucci Gaetano
2 anni fa

Non entro nei dettagli di questo post del prof. Giovanni Capurso, ma non posso non rilevare che si tratta di un intervento errato nel merito, fuorviante nello scopo e addirittura provocatorio rispetto alla attuale ricorrenza della Giornata del Ricordo. A Capurso vorrei ricordare che “giustamente” fu da d'Annunzio posta la questione della “vittoria mutilata” dopo la Prima guerra mondiale, seppure il suo tentativo di riparare ad essa fallì per la debolezza e l'ignavia italiana e la prevaricazione di altre potenze europee.
L'Istria e parte significativa della Dalmazia erano di “nazionalità italiana” per lunga storia, cultura, religione, tradizione ed economia. (continua)

Gaetano Bucci
Gaetano Bucci
2 anni fa

La sconfitta italiana dopo l'otto settembre 1943 scatenò un odio e una violenza incredibili verso l'Italia, anche per fatti e responsabilità esclusivamente dei tedeschi che di fatto controllavano completamente il Nord Italia, anche dietro il paravento della velleitaria e insignificante RSI.
Le foibe e soprattutto la fuga di massa di circa 300000 abitanti da quelle zone furono il prezzo fatto pagare al nostro Paese in modo violento e senza giustificazione alcuna nei confronti della popolazione civile e inerme.

Gaetano Bucci
Gaetano Bucci
2 anni fa

Con questo post, me ne dispiace molto, l'Anpi di Corato getta ancora una volta discredito soprattutto verso se stessa e conferma la sua vocazione assolutamente “partigiana”, ovvero assolutamente divisiva rispetto alla nostra storia comune e alla necessità di pacificazione nazione, difendendo il dogma inesistente della “assoluta unicità dell'olocausto”. Non so se questo rientra nel piano di ideologizzazione della nostra comunità iniziato dopo le ultime elezioni amministrative. Se così fosse sarebbe un gravissimo errore che difficilmente sarà perdonato da Corato, città libera e comunità orgogliosa di se stessa.

Antonello Rustico
Antonello Rustico
2 anni fa

Ottimo articolo Giovanni. Mi sembra chiaro e completo. Certo il discorso è complesso come la situazione generale del confine orientale italiano. Semplificare non aiuta e tacere sul passato distorce la realtà. Bene hai fatto ner ricordare tutta storia, non solo gli ultimi anni. Complimenti!

il pelato
il pelato
2 anni fa

Non posso competere su un argomento così delicato e importante socialmente, vista la mia età
non ero presente, le mie informazioni storiche e tantomeno la mia cultura non sono così erudite, ottima disamina di parte dell'articolo non capisco perchè i fatti vengano attribuiti ai fascisti ci tengo a sottolineare che lungi da me tale ideologia, perchè si nasconde che siano stati gli Slavi appartenenti alla Confederazione Russa ovvero Comunista gli autori di tali efferatezze, perchè nascondere la verità, i nuclei partigiani parteciparono attivamente agli eccidi, non me ne vogliano i PROFESSORI se da anni i testi storici vengono vengono adulterati.

Amos D.
Amos D.
2 anni fa

Grazie professore per questa lettera lunga e sofferta, ma forse necessaria, contro l'abuso politico della verità storica, il cui fine ultimo è delegittimare la lotta antifascista dei popoli, sia italiani sia slavi. Sempre con il massimo rispetto per gli innocenti che hanno perso la propria vita o la propria casa.