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Intervista a Maria Lotito, una coratina che il 2 giugno 1946 votò per la Monarchia

Marianna Lotito
Marianna Lotito
Maria Lotito
Nel giorno del 70esimo anniversario della nascita della Repubblica italiana abbiamo esplorato lo scrigno dei ricordi di una donna che, nel 1946, per la prima volta fu chiamata al voto
3 commenti 2006

Classe 1922, licenza elementare. Una vita trascorsa tra casa, masseria, chiesa, democrazia cristiana e Centro aperto diamoci una mano.

Nel 1946 a tante coratine come Maria Lotito, per la prima volta, fu concesso di recarsi alle urne per scegliere tra Monarchia e Repubblica. Misero la croce su una scheda come quella che riproponiamo in foto.

Ieri siamo andati a trovarla in quello che ormai da una vita è il suo rifugio, la Casa protetta nata grazie a don Luca Masciavè.

Il ricordo del 2 giugno 1946
«Siamo andati tutti insieme a votare. C’era una fila lunghissima di persone perché le sezioni erano poche. Ricordo che mamma si sentì male, era stata in fila troppo tempo».

Maria, tu per chi hai votato?
«Per il re» ha risposto Maria, così come si fece in gran parte del meridione. «Io lo ricordo come una persona buona, come un grande padre che abbraccia la sua famiglia. Vedevo le sue fotografie sul giornale». L’annuncio della nascita della Repubblica non fu motivo di gioia: «eravamo molto dispiaciuti nel vedere le fotografie del re che partiva per l’esilio».

Una famiglia devota alla Patria
«Mia madre diceva: “beato chi può dare l’oro alla Patria”. Lei diede quello che avevamo, la Patria per noi rappresentava tutto. Mio fratello è andato in guerra, ed è tornato a piedi da Roma». E andare a votare voleva dire «fare una cosa importante per il mondo intero». Pensando all’attuale disinteresse per lo Stato e la politica, Maria ha detto: «mi fa male sapere che c’è tanta indifferenza, tanta freddezza, dopo tutta la fatica che abbiamo fatto anche a Corato».

Una “piccola italiana”
Maria è nata il 28 giugno del 1922, esattamente quattro mesi prima della Marcia su Roma di Mussolini. Ricorda benissimo di essere stata una “piccola italiana”: «ogni mattina per andare a scuola – la Nuova Italia – indossavo una gonna nera e una camicia bianca con una specie di cravattino. Facevamo ginnastica e ci venivano letti i messaggi del duce: di lui non ho un brutto ricordo. La mia maestra si chiamava come me – Maria Lotito – e mi voleva molto bene. Mi ha insegnato a leggere e scrivere».

Una giovane donna coraggiosa
Per aiutare Maria a tornare indietro nel tempo, le abbiamo chiesto cosa ricordasse dell’arrivo degli americani a Corato. «Ricordo benissimo che ero in masseria con i miei genitori, non avevo paura. Ci portarono cioccolate e sigarette. Alcuni erano bianchi, altri bruni. Erano armati e vestiti con una divisa chiara. Ricordo che li portai nel pollaio e offrì loro delle uova. Non parlavamo la stessa lingua ma ci capivamo con i gesti. Nessuno ci fece del male».

L’esperienza nella Democrazia cristiana
«Non ricordo in quale anno ma so che ho lavorato lì, nella sede che stava difronte al liceo classico. Ero una specie di segretaria, facevo le tessere per chi veniva ad iscriversi al partito.

Mi trovai impiegata lì perché il mio papà, cieco, aveva conosciuto la signora Quinto: era la presidente dell’associazione dei non vedenti e aiutò mio padre ad avere la pensione. Grazie a lei anche io iniziai a lavorare al partito, portavo a casa sua i soldi delle tessere. Ricordo un palazzo grande, vicino alla chiesa di San Giuseppe».

La propaganda politica
«Durante il periodo delle votazioni formavamo dei gruppi di due o tre persone, andavamo di casa in casa per convincere la gente a votare per la democrazia cristiana. C’è chi ci faceva entrare, e poi c’erano anche i comunisti che invece non volevano saperne nulla.

A noi era il partito ad insegnare cosa dovevamo dire, facevamo degli incontri la sera per imparare. Quando entravamo nelle case non iniziavamo subito a parlare di politica, prima ci presentavamo, cercavamo di capire come stavano le persone con cui stavamo parlando».

L’addio alla politica
«Ho smesso di lavorare per il partito quando mia cugina Giglia mi ha chiesto se volessi servire un sacerdote. Io risposi che lo avrei fatto se si fosse trattato di un sacerdote Santo: non tutti lo erano. Sono stata due anni a servizio della mamma di don Luca Masciavè e da quel momento la mia vita è cambiata».

Maria Lotito è stata una delle operaie della prima ora per il Centro di don Luca. Ma quasta, è un’altra pagina della storia della nostra città che ci faremo raccontare da chi l’ha vissuta.

giovedì 2 Giugno 2016

(modifica il 24 Luglio 2022, 8:04)

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salvatore di gennaro
salvatore di gennaro
7 anni fa

Il nord era meno tradizionalista del sud. V.E.III è stato il re meno indicato a gestire gli eventi tumultuosi che seguirono la prima guerra mondiale: egli, conscio dei suoi limiti, non voleva salire al trono, ma ci fu quasi costretto. La scelta su Mussolini fu per lui obbligatoria. Il grosso errore che fece fu quello di scappare: se fosse rimasto, anche a scapito della vita e mettendo in salvo la famiglia, avrebbe risparmiato alla monarchia la caduta e all’Italia il caos della partitocrazia e degli innumerevoli vicerè locali. Parliamo ora della più grande conquista del dopo fascismo, la libertà di espressione: se l’efficienza di un politico attuale fosse uguale al livello di satira, di contestazione e di pungolo che vige quotidianamente nei suoi confronti, i nostri politici sarebbero dovuti essere i migliori al mondo, e non solamente i più pagati.

Morski
Morski
7 anni fa

“Morte a Vittorio Emanuele, il suo Regno è infame, la dinastia Savoia muoia per ora e per sempre!” Secondo il re sabaudo Vittorio Emanuele II dall’Italia meridionale si “alzava un grido di dolore” che lui, notoriamente di buon cuore e generoso, non poteva non ascoltare. E così mandò avanti Garibaldi con i suoi Mille improbabili liberatori che, a suo avviso, sarebbero bastati per accendere il fuoco della ribellione al tiranno Borbone. Bastarono poche settimane per far comprendere ai liberali ed al popolo meridionale che Garibaldi non veniva a portare la libertà, ma semplicemente a sostituire un re con un altro re. Ma ormai era troppo tardi, perchè a consolidare la conquista del Regno delle Due Sicilie erano già arrivati i bersaglieri ed i fanti dell’esercito piemontese, che prima sparavano e poi controllavano chi avessero davanti, fossero anche donne, bambini o vecchi inermi.

fabio todini
fabio todini
7 anni fa

Sbagliate le critiche in salsa neoborbonica ,alla Pino Aprile ,che parla addirittura di genocidio,che mai ci fù perpetrato ai danni del Sud,è vero però che I savoia in seguito,che avevano avuto il merito di unificare l’Italia sbagliarono nell’aprire le porte al regime ,e poi alle leggi razziali infami del 1938 ,che scavarono un solco profondo tra italiani.