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Il racconto di Giulia
Da Lo Stradone

Il nostro miracolo

Giuseppe Cantatore
Giuseppe Cantatore
Giulia scopre un grave linfoma mentre è incinta. Sfida il destino, si cura e fa nascere sua figlia Gioia. Una storia di amore, paura, coraggio e salvezza. L'articolo completo e l'intervista video
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Riproponiamo su CoratoLive.it gli articoli “senza tempo” pubblicati nei mesi scorsi su Lo Stradone. Un modo per avvicinare i lettori del web agli approfondimenti svolti sul cartaceo. Oggi è la volta dell’intervista a Giulia Tandoi che ha scoperto un grave linfoma mentre era incinta. Nonostante tutto ha sfidato il destino, si è curata e ha fatto nascere sua figlia Gioia. Per abbonarsi a Lo Stradone è possibile mandare una email all’indirizzo info@lostradone.it oppure chiamare il numero 080.8983954.

Gioia ha solo sette mesi ed è così piccola che si tiene su un avambraccio. Avvolta in una salopette di jeans e in una magliettina rosa che trasuda già orgoglio femminile, con i suoi occhi grandi e curiosi scruta ogni movimento di chi gli sta intorno. D’altronde, anche se ancora non cammina, nel grembo materno di strada ne ha già fatta tanta. Sua madre, Giulia Tandoi, ha scoperto di aspettarla il 5 aprile 2022. Due mesi dopo, però, la felicità è stata spezzata dalla diagnosi di un tumore aggressivo che all’improvviso ha messo a serio rischio la vita di mamma e bimba. «Non c’è tempo» le hanno detto i medici, consigliandole di abortire per potersi curare. Poi, nel buio pesto della paura, si è aperto uno spiraglio di luce. Una mano tesa che Giulia ha afferrato con forza e con amore. Soprattutto, con la speranza di portare avanti sia la gravidanza che le sue terapie. E così è stato.

«Quando lo scorso anno ho scoperto che dentro di me c’era una nuova vita, ero ancora ignara che ci fosse anche un ospite indesiderato. È una cosa che capita a una donna su milione» racconta Giulia, prossima a compiere 36 anni. «Già dalle prime settimane mi sono accorta che non si trattava di una gravidanza facile. Ho avvertito sin da subito vari disturbi ai quali, nei primi giorni di giugno, si sono aggiunti febbre e forte debolezza. Una settimana più tardi, mentre mi trovavo fuori città, mi sono svegliata al mattino con un importante edema a collo e viso. Da quel momento è iniziata una serie infinita di controlli, mentre il mio stato di salute continuava a peggiorare anche a causa di una oppressione toracica che mi creava diverse difficoltà a respirare. Una ecografia fatta di corsa a Foggia ha rivelato che avevo in corso una trombosi completa della vena giugulare e parte della succlavia. Sono quindi stata catapultata al Policlinico di Bari per un ricovero urgente. Ho trascorso un giorno e mezzo nella stanza rossa del pronto soccorso perché non c’erano posti liberi in reparto. Poi, dopo altri numerosi accertamenti, i medici hanno iniziato a somministrarmi l’eparina».

Sulle prime, la cura ha iniziato a funzionare. Ma, in realtà, stava agendo sui sintomi e non sulla causa, in quel momento ancora sconosciuta.

Infatti sono stata dimessa – secondo me con troppa facilità, alla luce delle mie condizioni – ma non stavo del tutto bene. Allora mi sono rivolta a una ematologa a San Giovanni Rotondo che mi ha chiesto di ricoverarmi quanto prima e di sottopormi a una risonanza magnetica, visto che la gravidanza non mi consentiva di fare Tac o Pet. Ricordo la risonanza, davvero interminabile: un’ora e mezza infinita durante la quale ho resistito solo tenendo gli occhi sempre chiusi.

Il giorno dopo è arrivato l’esito, inesorabile.

L’esame ha rivelato la presenza di una massa di 15 centimetri all’altezza del mediastino (lo spazio mediano della cavità toracica compreso tra i due polmoni, ndr). Ormai avevo capito di cosa si trattava, ma i medici dovevano comunque eseguire la biopsia. Il risultato me lo ha comunicato il prof. Boscia che mi seguiva per la gravidanza. “Hai un linfoma non Hodgkin primitivo del mediastino, devi intraprendere subito una terapia” mi ha detto senza troppi giri di parole. “Non hai tempo perché si tratta di un tumore aggressivo al 98%. È qualcosa di non latente che molto probabilmente si è sviluppato in contemporanea con il feto. Dobbiamo attendere qualche altro giorno per avere il risultato completo dell’esame istologico e capire se sia possibile portare avanti la gravidanza oppure se sarai costretta ad abortire”.

Mentre ripercorre quei momenti, Giulia interrompe un attimo il suo racconto. Una pausa quasi impercettibile. Poi ricomincia. La sua voce trema, sta per cedere alla commozione. Ma alla fine resiste, proprio come ha fatto in quei mesi terribili.

Avuto l’esito dell’istologico, i medici di San Giovanni Rotondo non mi hanno dato speranza sulla coesistenza tra gravidanza e terapia contro il tumore: secondo loro, per curarmi e sottopormi alla chemio avrei dovuto prima abortire. Anche perché la massa mi aveva già procurato conseguenze serie e non avevo il tempo di far crescere la bimba almeno fino alla 30esima settimana e iniziare le cure subito dopo. Ma il tempo passava e io cominciavo a sentire questa vita che iniziava a muoversi dentro di me. Così, con queste parole nel cuore e la diagnosi tra le mani, ho detto a mio padre e a mio marito: “dobbiamo trovare la via per curarmi e portare avanti questa gravidanza che ho tanto voluto”. Ho avuto paura, tanta. Ma, nel mio intimo, non mi sono mai sentita dinanzi a un bivio e non ho mai messo in discussione la convinzione secondo cui mia figlia sarebbe nata sana e anche io, in qualche modo, ce l’avrei fatta.

Sono stati giorni frenetici e colmi di decisioni difficili da prendere, in cui la famiglia è passata dallo scegliere il nome della bimba ad occuparsi del cancro. Ma ora, nella mente di Giulia, gli eventi si sono dilatati e lei li racconta quasi li vedesse al rallentatore.

Sono tornata dal prof. Boscia, colui al quale devo la mia vita e quella di mia figlia. È a lui che è venuto in mente di confrontarsi con il prof. Lanzone, primario della ginecologia del Policlinico Gemelli di Roma, e il prof. Hohaus della ematologia della stessa struttura ospedaliera. Ha descritto loro il mio caso e ha ricevuto una risposta illuminante: “non c’è problema, abbiamo appena curato una ragazza in una situazione simile, può venire subito da noi”. Ovviamente non mi hanno fornito alcuna garanzia né per me né per la bambina che, per dirne una, poteva nascere con una anemia importante o con la necessità di trasfusioni. Ma mi hanno detto “si può fare” e tanto mi è bastato. Il 1° agosto mi sono ricoverata al Gemelli e il giorno 8 mi sono sottoposta alla prima chemio.

Una terapia, visto il tipo di linfoma da sconfiggere, senza sconti. Mentre la gravidanza andava avanti insieme alla routine dei controlli dedicati.

Dopo gli esami di preparazione, ho iniziato i 6 cicli di cura con gli stessi dosaggi infusi a una persona non incinta. L’unica differenza, nel mio caso, è stata avere una pausa un po’ più ampia tra un ciclo e l’altro: tre settimane invece di due, per consentire un maggior tempo di ripresa. Sono stati i giorni più difficili, quelli in cui ho toccato con mano la malattia. Alla prima chemio sono scoppiata in uno dei miei più grandi pianti, anche peggio di quando ho ricevuto la diagnosi. Ero sola, lontana da casa e dalla famiglia – soprattutto da mio figlio Edoardo che all’epoca aveva quattro anni – e praticamente sigillata nella mia stanza d’ospedale: a causa della immunodepressione non potevo neppure aprire la finestra. E vedevo il mio corpo trasformarsi non verso la bellezza, come avviene in gravidanza, ma verso qualcosa di inatteso e diverso.

In autunno, finalmente, la luce: il 4 novembre 2022 nasce Gioia. L’hai definita “il nostro miracolo”.

Si parlava di farla nascere tra le 28 e le 30 settimane. Alla fine siamo riusciti ad arrivare alla 34esima. È nata come un piccolo bocciolo rosa, tranquilla, in mezzo a una miriade di medici che la controllavano e tra la commozione generale dei presenti. Pesava un chilo e 600 grammi, ma – a parte alcuni giorni in incubatrice – non è stata neppure un giorno con l’ossigeno. Evidentemente anche lei aveva tanta voglia di vivere. E pensare che quando è nata aveva giusto un paio di vestitini perché fino al settimo mese nessuno sapeva se sarebbe venuta alla luce oppure no e io non ho voluto comprarle nulla prima. La sua nascita ha voluto dire che tutto quello che ho affrontato non è stato vano. Sono convinta che Gioia sia un miracolo della vita, della scienza e della fede, tre cose imprescindibili.

Sei credente?

Sono cristiana, ma non cattolica, nel senso che non credo alla personificazione di Dio in un essere umano. Ma la fede è qualcosa di intimo che mi ha accompagnato durante quei mesi e che tuttora mi è vicina.

Nella foto che ti è stata scattata subito dopo il parto, stringi tua figlia al petto mentre indossi una mascherina e hai un foulard sulla testa. È un’immagine potente che mette simbolicamente insieme la brutalità della malattia e la forza della vita.

È talmente pazzesco che ancora oggi non so spiegarmelo. Dentro di me, nello stesso momento, c’erano la vita e la morte. Fino al momento della nascita di Gioia mi ero sottoposta a 4 cicli di terapia su 6: dopo il parto ho fatto la mia prima Pet e il linfoma non c’era già più. Ho sempre pensato che la gravidanza mi ha portato il tumore e la gravidanza me l’ha portato via. Questo non vuol dire che non abbia avuto paura: il cancro non è una cosa della quale ci si libera facilmente e sono sicura che farà parte di me per sempre. Credo, però, che mia figlia sia quella mano tesa che la vita mi ha voluto dare. Dico sempre che io ho dato la vita a mia figlia e lei ha salvato la mia. Se non avessi avuto il linfoma in quel momento, forse non avrei avuto tutta la forza che ho avuto per affrontarlo.

Il nome Gioia rappresenta perfettamente il lieto fine di questa storia.

Per la verità lo avevamo già scelto qualche tempo prima della malattia. L’avevo sentito una sera in tv e mi era piaciuto. Però davvero, a posteriori, non poteva esserci nome più azzeccato. In realtà sono sempre stata convinta che avrei avuto solo figli maschi. Poi, quando la gravidanza ha iniziato a complicarsi, ho pensato: “è femmina ed è anche molto forte”.

La strada che hai scelto di percorrere è stata piena di rischi enormi: cosa è servito di più per prendere una decisione del genere? Amore, coraggio, incoscienza?

Credo un po’ di tutto questo. Tanto amore, ovvero ciò che alla fine ha prevalso sulla paura. Sicuramente il coraggio di portare avanti una gravidanza così complessa: in tutto quel tempo non ho mai pensato alla mia vita, ma solo a quella che portavo in grembo. Certo, è servita anche un po’ di incoscienza perché ho comunque camminato verso l’ignoto. Aggiungo che ci è voluta tanta fiducia nei medici: quelli del Gemelli con me sono stati fantastici. Fondamentale è stata anche la vicinanza della mia famiglia che ha sempre sostenuto le mie scelte. Mio marito Pierdomenico è stata la persona che ha condiviso con me tutto il percorso fatto. Però, devo dirlo, devo molto a me stessa: se non fossi stata io a voler andare oltre, se non avessi avuto mezzi e conoscenze o se solo se fossi stata più remissiva, oggi non sarei qui e certamente non ci sarebbe stata mia figlia. Dalla nascita di Gioia è nata anche una nuova Giulia.

In cosa ti senti diversa?

Sono cambiata nel modo in cui vedo la vita. Questo non vuol dire “vivo ogni giorno a mille perché del domani non si sa.” Anzi, è esattamente il contrario: vuol dire dare realmente importanza alle cose che contano. Viviamo – l’ho fatto anche io – vite frenetiche e ci arrovelliamo in cose che non hanno assolutamente senso e non diamo il giusto valore al tempo. La malattia cambia anche il rapporto con gli altri.

A febbraio, tre mesi dopo la nascita di tua figlia e mentre eri ancora in piena terapia, hai pubblicato sui social una tua foto con i capelli quasi completamente rasati e una didascalia breve e incisiva: “pelata ma viva”, mescolando la fragilità del momento a una sorta di sfrontatezza.

E infatti volevo dire: “chissenefrega dei capelli, oggi sono questa, ma sono qui”. – risponde Giulia distendendo il viso in un grande sorriso – Essere rasata non significa per forza negativizzare quel momento. A volte ho portato la parrucca, ma solo per gli altri, non per me. Anche perché ti ricorda che hai un minus.

Sui tuoi social compare spesso l’immagine di una donna che mostra i bicipiti in segno di forza: un rimando al concetto di “guerriera” che hai anche citato esplicitamente in alcuni tuoi post. Proprio su questo tema si è spesso aperto un dibattito tra le stesse persone malate di tumore. Per alcuni quella contro il cancro “non è una guerra e i pazienti non sono vincitori o sconfitti, guerrieri o eroi; la malattia è considerata un fatto umano, non qualcosa di estraneo da combattere e vincere e quindi quella del guerriero diventa un’immagine retorica e persino dannosa”. Altri, invece, si rifanno a quel concetto magari per darsi il coraggio e la forza mentale necessari per affrontare il tumore o forse solo per assecondare il proprio carattere. Tu cosa pensi?

Ognuno ha la sua risposta che secondo me è nel mezzo. Dico che i malati non sono guerrieri, non c’è nessuna guerra, non ci sono vincitori né vinti. Però vivere un’esperienza cosi traumatica, nel mio caso persino in gravidanza, dà una forza maggiore rispetto a chi non ci è passato. Per quanto mi riguarda, associo l’immagine della guerriera ai miei figli. I bicipiti della donna rappresentano Edoardo e Gioia, uno nel braccio destro e l’altra nel sinistro. Non è una lotta verso la malattia che non considero il mio peggior nemico: io ho l’ho accolta e, in un certo senso, ho voluto che mi diventasse amica per poterle dire: “ok, ora stai vicina a me e insieme andiamo da qualche parte”. Una persona malata non vuole sentirsi diversa da ciò che era prima e non vuole percepire da parte degli altri un senso di pietà. Io, personalmente, odio la pietà. Altra cosa è la comprensione.

Dopo tutto quello che ti è accaduto, che sapore in più ha avuto la festa della mamma appena trascorsa?

È stata una festa più piena, dal sapore di dono. Ho due figli che sono la mia ragione di vita e mi sento fortunata. Spero solo di poter vivere il più possibile per vederli crescere.

Come hai spiegato a tuo figlio ciò che stava accadendo?

Prima ancora che mi cadessero i capelli, gli ho detto che li avrei persi e che poi sarebbero ricresciuti. Lui ha capito e non ha mai dato troppa importanza a questa cosa. È stato molto più difficile spiegare l’assenza, visto che fino a quel momento non ci eravamo mai separati. All’inizio ha reagito molto bene, si è creata una nuova abitudine con il papà, i nonni e gli zii, ma c’è stata comunque molta sofferenza. È stato più complicato fargli capire perché restavo ancora lontana anche dopo la nascita di Gioia. A quel punto gli ho detto semplicemente la verità: che mamma aveva una bua nel petto, che doveva curarsi e che tutto sarebbe finito presto.

Hai pensato a come, quando sarà più grande, racconterai tutto questo a Gioia?

Ci penso continuamente ed è difficile dare una risposta. Non voglio che lei viva nel peso di avere questa forte storia alle spalle, anche se è una storia di salvezza e di amore profondissimo. Di certo glielo racconterò per dirle che l’ho amata sin dal primo istante tanto da voler andare avanti a qualunque costo per vedere il suo viso. Mi è capitato che alcuni mi abbiano chiesto: non hai mai pensato che la bimba sarebbe potuta nascere con delle conseguenze fisiche a causa delle terapie? In effetti non sapevo esattamente cosa sarebbe accaduto, ma io ho voluto scommettere su tutto: forse era l’unico modo per “vincere”.

Sui social hai scritto: «Continuerò a condividere il mio messaggio di speranza affinché più nessuna donna debba essere spinta a fare scelte sbagliate “solo per inesperienza”.

Prima della nascita di Gioia non avrei mai condiviso la mia storia. Ora, invece, ho tenuto a raccontarla pubblicamente un po’ per fermare il chiacchiericcio che si stava sviluppando su di me, ma soprattutto per dare un messaggio a chi sta combattendo il cancro. A tutte queste persone dico che da situazioni come questa si può uscire, che la terapia si può affrontare. Ci sono tanti tabù su questo: io, per esempio, posso dire di aver affrontato sia la chemio che l’immunoterapia stando bene. Il tumore è una cosa fisiologica che può coinvolgere chiunque in qualunque momento. Ma non bisogna permettere alla malattia di far prevalere la sua potenza. È necessario essere sempre capaci di avere il controllo di quello che si sta facendo e credere in sé stessi. Tutti possiamo avere un’opportunità anche nelle circostanze peggiori, proprio come è accaduto a me. Quello che mi è capitato, in fondo, non mi ha tolto nulla: certo, il linfoma ha bloccato la mia vita per un anno ma, in un disegno più grande, è una cosa che conta poco. Bisogna avere anche tanta fiducia nei medici. È per questo che oggi sono viva e ho persino dato alla luce una bimba sana oltre qualsiasi aspettativa.

Occorre sostenere la ricerca donando denaro, ma anche sangue e midollo che salvano la vita delle persone. Sono azioni piccole alle quali non pensiamo, ma che possono cambiare il destino degli altri e anche il proprio, visto che non si sa mai cosa possa riservarci il futuro. Grazie alla ricerca sono stati fatti tanti passi avanti nelle diagnosi e nelle terapie e questo è quello che mi muove oggi: faccio parte di uno studio internazionale nel quale ho messo a disposizione la mia esperienza, affinché possa essere una via per qualcun altro, così come per me è stata importante l’esperienza di chi si è ammalato prima. Questo vale anche in ambito sanitario: molti medici devono sapere che oggi i casi come il mio possono essere affrontati e io ne sono la testimonianza vivente. Quando mi è capitato di fare qualche medicazione in ospedale a Bari e sono stata vista incinta e sottoposta a queste cure, mi sono sentita guardata come un alieno. Con l’amaro in bocca, devo dire che dobbiamo essere noi cittadini a dover pretendere di più dal nostro territorio e ad avere più coscienza quando facciamo certe scelte perché la Puglia non ha nulla in meno rispetto ad altre regioni e vivere in questo territorio non può significare avere minori possibilità di salvezza dinanzi a certe situazioni. Ora, dopo aver terminato la radioterapia ad aprile, vivo un momento di calma. Ma in testa ho tante idee che intendo realizzare per dare senso e valore a questa mia esperienza di vita.

lunedì 4 Settembre 2023

(modifica il 30 Aprile 2024, 17:42)

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Il mago di Azz.
Il mago di Azz.
8 mesi fa

Brava Giulia , complimenti di Cuore !! Ti auguro tanta tanta felicità insieme alla tua famiglia .