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Stella Polare: Mauro Stella si racconta in vent’anni di pallacanestro

Francesco De Marinis
Francesco De Marinis
Mauro Stella dopo la vittoria del 2022
Il cestista mesagnese ha giocato la sua ultima gara con la maglia del Basket Corato. Ne ripercorriamo i passi dalla sua prima volta al PalaLosito, nell'estate del 2003, alla vittoria della scorsa stagione.
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Riproponiamo su CoratoLive.it gli articoli “senza tempo” pubblicati nei mesi scorsi su Lo Stradone. Un modo per avvicinare i lettori del web agli approfondimenti svolti sul cartaceo. Oggi recuperiamo l’intervista fatta a Mauro Stella nel giugno scorso. Il cestista mesagnese ha giocato la sua ultima gara con la maglia del Basket Corato. Ne ripercorriamo i passi dalla sua prima volta al PalaLosito, nell’estate del 2003, alla vittoria della scorsa stagione. Per abbonarsi a Lo Stradone è possibile mandare una email all’indirizzo info@lostradone.it oppure chiamare il numero 080.8983954.

C’è una particolare alchimia che lega i giocatori “stranieri”, simbolo della nostra storia cestistica, alla città. Non è un caso che tre delle stelle più luminose del firmamento neroverde abbiano scelto di mettere radici a Corato. Marco Verile da Foggia, Diego Onetto da Montevideo e Mauro Stella da Mesagne: tutti stranieri, profeti nella nostra di patria. Di atleti dalle grandissime qualità tecniche ne sono passati tanti da via Don Albertario ma i ricordi più dolci rimangono legati a gente che ha anche stabilito un feeling più profondo con la città.

L’ultimo a salire sull’Olimpo neroverde è stato proprio Stella. Numeri alla mano, con dieci stagioni al PalaLosito disseminate nel corso della sua ventennale carriera, è stato senz’altro il cestista con più presenze, più punti realizzati e più titoli nella storia del Basket Corato. Un mese fa si portò a casa la retina del successo più importante, il primo festeggiato in casa in sessant’anni, in quel PalaLosito che lo accolse nella bollente estate del 2003.

«L’anno prima di arrivare a Corato – racconta Stella – avevo fatto la mia prima esperienza lontano da Mesagne. Avevo 17 anni e fui contattato da Davide Olive che mi volle a Francavilla, in C2. Feci un ottimo campionato, secondo marcatore della squadra dopo Dusic. Allora Olive mi disse: “Guarda, ci sono tre, quattro squadre interessate a te come Martina, Bisceglie e Corato”. Si presentarono Luigi Lonardelli, Cenzio e Corradino Samarelli in un bar. Da agosto venni a giocare a Corato».

Quattro anni quella prima volta.

Quando arrivai era una squadra giovane. C’ero io, Lillo Leo, Bucci, Carnicella, Arbore, Sardano, Vigilante, Di Nanni e Rana. Facemmo un girone di andata negativo ma a gennaio, con Delli Carri, vincemmo 13 partite su 15 e arrivammo ai playoff da settimi contro Ostuni, senza obiettivi e li perdemmo. L’anno successivo allestirono una squadra più forte con Onetto, De Leonardis, e Scoccimarro. Fu la stagione della finale con Ostuni, quella del ripescaggio. In B arrivarono anche Stura, Canzonieri e Raffaelli.

Quando ti ritrovasti a 18 anni davanti a quel pubblico, che cosa pensasti?

Non ero abituato. Mi avevano sempre parlato del tifo di Corato ma finché non arriva la prima giornata non te ne rendi conto. Con Molfetta, all’esordio, perdemmo ma al palazzetto c’era il delirio.

Un basket diverso.

Negli ultimi anni è venuto meno quell’entusiasmo, non solo a Corato. Giocare davanti a certe cornici di pubblico era uno spettacolo non solo nei derby, ma anche nelle partite normali. E il covid non c’entra nulla. Anche in campo la pallacanestro è cambiata: meno fisica e meno atletica, ma c’era più gente che sapeva davvero giocare. Prima vedere un atleta di 2 metri era raro, oggi un ragazzino qualunque è oltre il metro e 90. Vale per tutti gli sport.

C’è una partita speciale in quei primi quattro anni?

La storica partita di Ruvo, dove eravamo sfavoriti sulla carta. Poi con Civitanova Marche in B al PalaLosito. Ultimo possesso per loro sul 60 pari, strappo la palla dalle mani del play e m’involo a segnare i due punti del sorpasso. Venne giù il pala, ero ancora under.

Il tuo primo coach a Corato è Franco Gatta.

Devo solo ringraziarlo. È stato paziente perché non è semplice lanciare un ragazzo in una piazza calda che vuole risultati. Poi a diciotto anni non ero così tranquillo ma lui non mi ha mai detto una parola cattiva. Ha sempre usato i suoi modi pacati. È stato importante per la mia crescita perché mi ha permesso di sbagliare.

Finiti i tuoi anni da under vai via. Perché?

La società voleva cambiare. Andò via Gatta e arrivò Meneguzzo. Corradino mi disse: “con il mister nuovo faremo scelte diverse”. Iniziai a Bisceglie poi andai alla Virtus Siena, in B1, dove feci una decina di giorni di allenamento. Coach Salieri mi disse che erano interessati a me ma avrei fatto il cambio di Gianluca Tomasiello (poi a Ruvo ndr). Nel frattempo arriva la chiamata di coach Putignano da Ostuni che mi propone la B2 da titolare a vincere. Scelsi la seconda.

La prima, vera, scelta.

In realtà la prima vera scelta fu in estate, quando mi chiesi cosa fare dopo Corato, al mio primo anno di senior. La seconda fu quella di Siena: resto da gregario in una città che vive di basket o vado ad Ostuni a giocare? Col senno di poi rifarei la stessa scelta, perché la gavetta è importante. Giocare e sbagliare in una categoria inferiore invece di stare in panchina in una squadra più blasonata. È un consiglio che do anche ai ragazzi: non vi fate abbagliare dalle sirene.

Con l’Ostuni tornasti a Corato da avversario.

Fu molto emozionante. Nel riscaldamento la tifoseria mi chiamò sotto la curva, mi diede dei fiori e il pubblico mi applaudì. Mi emozionai. Tra l’altro tornavo con la maglia di una squadra storicamente rivale. Finita la partita che valse la promozione all’Ostuni, invece di festeggiare con gli altri tornai negli spogliatoi per rispetto dei miei (allora) ex tifosi.

Dopo Ostuni, la B1 a Cagliari.

A differenza di Siena giocavo titolare anche se in una squadra meno forte. Retrocedemmo ma feci uno dei miei migliori campionati e affrontai grandi giocatori come Ferrero, Gugliotta e Vincenzino Esposito (il secondo italiano ad esordire in Nba dopo Rusconi ndr). L’anno successivo mi chiama Meneguzzo e torno a Corato. C’erano Lorenzetti, Trionfo, Graziani, Cozzoli, Mariani. Era la prima stagione, dopo due anni di spese importanti, che a Corato scelsero di ridimensionare il budget. Un anno positivo, un buon campionato nonostante la sconfitta ai playoff con Patti.

Un solo anno, poi vai via di nuovo.

Da Corato sono sempre andato via non per scelta personale ma per le vicissitudini che si erano venute a creare. In questo caso la società ridimensionò fortemente il progetto e, ancora in piena età agonistica, andai a Francavilla dal mio ex coach mesagnese Olive e dove ritrovai Lillo Leo. Al primo anno usciamo in semifinale con Capo d’Orlando, l’anno dopo usciamo al primo turno con Roseto. Sono stati le due stagioni migliori del Francavilla.

Nel 2012 torni ancora, ma questa volta alla Bnb.

Il Francavilla mi voleva tenere ma preferii avvicinarmi a Corato da Daniela, la mia compagna. Inoltre la squadra era molto forte, forse la più forte tra quelle in cui ho giocato. Da capitano vinsi il secondo campionato della mia carriera a Roseto. Il progetto era molto discusso da parte dei tifosi coratini, ma non videro la mia scelta come un tradimento visto che il Basket Corato era finito in Promozione. L’anno dopo andai a San Severo. Grande inizio ma la società fallì in corsa e tornai a casa.

Dopo un’altra parentesi a Bisceglie vai a Palermo.

A Bisceglie, con Pasquale Scoccimarro in panchina, giocammo la semifinale playoff con Palermo. A fine stagione mi chiama il coach Gianluca Tucci (oggi assistente di De Raffaele alla Reyer Venezia, in A1 ndr) che mi vuole portare in Sicilia per vincere il campionato. All’inizio ero titubante, non volevo allontanarmi da Daniela ma le ambizioni e la forza del roster mi convinsero. Durò mezza stagione perché anche a Palermo la situazione economica diventò difficile e tornai a Bisceglie. Fu lì che cambiarono le priorità e preferì rimanere più vicino alla famiglia.

Ed è qui che arriva l’esperienza di Nardò, dove hai lasciato un pezzo di cuore.

Nell’estate del 2016 in Puglia non c’erano molte squadre tra cui scegliere. Il mio amico Davide Olive aveva firmato a Nardò e mi chiese se fossi interessato. All’inizio fui cauto, poi incontrai il presidente Carlo Durante. L’impatto fu particolare. Ruspante, diretto, si parlava spesso in dialetto. Mi disse che mi volevano a tutti i costi e accontentarono ogni mia proposta economica. Tra l’altro era la prima volta che discutevo di soldi con una società, era il primo anno senza procuratore. Mi convinsero e firmai. Di lì è nato un rapporto speciale, fortemente empatico con il presidente e con Ivan Marra. Un rapporto che non ho avuto con nessun’altro dirigente e che mi terrò sempre stretto. A fine anno vincemmo il campionato e fummo promossi dalla C alla B. L’anno successivo volevamo riconfermarmi e tentarono di farlo in tutti i modi possibili. Davvero. In tutti i modi possibili.

Però scegliesti di tornare a Corato.

Spiegai ai dirigenti del Nardò che la mia intenzione era quella di riavvicinarmi a Corato che, nel frattempo, aveva acquisito il titolo della Serie C. Lì ho scelto definitivamente di preferire la famiglia. A marzo nacque mio figlio Leonardo e l’anno successivo mi sposai con Daniela. Poi avevo il pallino di vincere finalmente a Corato. Dopo una grande cavalcata trionfiamo a Ferentino e rimango qui altri due anni.

Fino alla pandemia.

Sì, la stagione inizia con Gesmundo in panchina che viene sostituito in corsa da Cadeo. Stavamo facendo bene ma il campionato venne interrotto dal Covid a marzo e poi definitivamente sospeso. Non sapevamo quando sarebbe ripartita la C. In questo clima di incertezza scelgo di continuare a giocare in B, che invece sarebbe cominciato ad ottobre. Volevo rimanere a Corato e mi allenai da solo per tre mesi. Dopo averne parlato con la società mi accordai di nuovo con Nardò, dove vinco il secondo campionato su due della loro storia. La mia prima promozione in A2. Ero lontano da casa ma l’emozione fu indescrivibile.

Ti chiesero di rimanere in A2?

Sì, come cambio del play americano titolare. Scelsi ancora Corato, nonostante alcune offerte in Serie B. Era tornato Marco Verile e facemmo una bella squadra. Non eravamo la squadra da battere ma abbiamo raggiunto una consapevolezza diversa nel corso della stagione, con il lavoro e l’impegno.

Quando è arrivata questa consapevolezza?

Nella gara vinta a Molfetta dominando. Lì abbiamo capito che se Molfetta era la squadra più forte, noi potevamo tranquillamente giocarcela.

Hai 38 anni. C’è ancora voglia di giocare?

Sì, vorrei arrivare a quarant’anni. Sto bene sia fisicamente che mentalmente. Credo che nel corso della carriera di un atleta, la preponderanza della parte fisica venga pian piano sostituita da quella mentale. Ho cominciato a pensare di più, a gestire meglio il mio corpo. Adesso curo di più lo stretching, l’alimentazione, l’integrazione. Sono anche stato piuttosto fortunato. In vent’anni di carriera non ho mai subito un infortunio che mi ha tenuto fermo tanto tempo.

Giocherai a Corato anche quest’anno?

Non ho ancora incontrato la società.

Cosa vuoi fare dopo?

Sto studiando da allenatore, sono al secondo anno. Il basket è la mia vita da oltre trent’anni. Mi ha dato tanto in tutto questo tempo e sento di dare ancora tanto io al basket. Devo scegliere se lavorare coi giovani o allenare squadre senior. Vedremo.

Quali sono stati i momenti in cui ti sei emozionato in carriera?

Sicuramente le vittorie dei campionati, ma per motivi diversi. Quella di Ostuni mi è rimasta particolarmente impressa perché è stata la prima volta. A Nardò si era creato un rapporto speciale con la società, mi sono caricato di responsabilità proprio perché loro mi avevano dato tanto. L’anno di Ferentino era quello che aspettavo da una vita e poco prima ero diventato papà. L’ultima è quella in cui ho goduto, ho gioito ma non mi sono emozionato. Forse perché ho vinto tre campionati in poco tempo.

Qual è il rapporto con i tifosi?

Sono talmente tanti anni che gioco che è cambiata la generazione. Quando sono arrivato c’erano gli Inafferrabili con cui sono rimasto in ottimi rapporti (Il primo giugno, in una rimpatriata organizzata da loro, Stella ha ricevuto una targa ndr). La nuova guardia si è avvicinata quest’anno. Sono ragazzi molto giovani che hanno dato il loro contributo alla promozione. Oltre agli ultrà, poi, c’è la gente del palazzetto, con cui continuo a salutarmi e sentirmi. Corato è una città che vive di basket, capace di portare mille persone a Ceglie, in serie D.

La nostra chiacchierata mi ha fatto capire che nella tua vita hai sempre avuto le idee chiare per le scelte che poi hai fatto. Hai qualche rimpianto?

In realtà ne ho uno. Il primo è quello di non aver mai giocato in Serie A. La chance non l’ho mai avuta. Ho avuto la possibilità di andare a Nardò a giocarmi l’A2 ma a 38 anni sarebbe stato un po’ tardi.

Giochiamo un po’. Fammi un quintetto composto da chi ha giocato con te a Corato. Partiamo con il coach.

Concedimi una panchina condivisa con Gatta e Verile. Il primo ha creduto in me, col secondo si è creato un legame di amicizia e stima che va oltre il parquet.

Per quanto riguarda il play, tu puoi giocare titolare ma trovati uno con cui fare le rotazioni.

Felice Carnicella. Perché è una delle migliori persone che si possa conoscere. Sincero, umile. A livello tecnico magari ce ne sono altri, ma la componente umana per me è molto importante.

Poi?

Scelgo Morresi come guardia. Un ragazzo con cui si è creato un fortissimo legame. Come tre metto Onetto, poche parole e tanti fatti. Classe. Il quattro è Trionfo, amico fraterno e grande giocatore. Jason Stura è il pivot. Carismatico, leader. Mi ha trasmesso tanto.

Il più forte con cui hai giocato?

Zaccariello alla Bnb. Ha una dote che in pochissimi hanno. La leadership, quella capacità di alzare il livello anche dei compagni. Infatti ha vinto tantissimi campionati.

E il migliore visto giocare?

Vincenzino Esposito. Era a fine carriera ma quando lo affrontai mi dissi: “Porca miseria, sto giocando contro Esposito”.

Tuo figlio Leonardo seguirà le tue orme?

Lui vuole fare tutto. Gli piace il calcio, il basket, il tennis. Non gli imporrò nulla, l’importante è che faccia sport.

Tu, invece, come ti sei appassionato al basket?

Mio padre giocava a calcio. È arrivato anche in Serie C ma non mi ha mai detto che sport fare. Anche io giocavo a calcio prima di scoprire il basket grazie a mio cugino che insistette per andare con lui a minibasket.

Corato ti piace?

Prima mi piaceva di più. Quando mi trasferii da Mesagne pensavo di essere arrivato a Las Vegas: locali, giovani, vita. Oggi Mesagne è diventata una chicca nazionale, tanto da essere stata candidata come città della cultura. Corato invece è rimasta indietro.

Cos’è stata e cos’è per te Corato?

Corato poteva essere una tappa transitoria della mia vita, invece si è creato questo forte legame grazie anche a Daniela e Leonardo e agli amici che pian piano ho conosciuto. Le mie origini sono mesagnesi ma mi sento coratino. Qui mi sento importante. Mi conoscono per quello che ho fatto e per quello che sono.

domenica 14 Maggio 2023

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