L'intervista

L’emigrazione coratina in Venezuela raccontata nel 2012 dal compianto Vincenzo Agatino

Marina Labartino
Agatino con Luis Josè Berroteran Acosta e Carlo Eduardo Abreu Colmenares ambasciatore e console del Venezuela
Preziosa testimonianza riportata nella tesi in Sociologia “Gli studi sul cambiamento nel processo di acculturazione” del corso di Laurea in Scienze della Formazione e dell’Educazione
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Durante il secondo conflitto mondiale l’emigrazione coratina si era quasi del tutto bloccata, ad esclusione della parentesi libica. Ma già nel ’46, in una Italia che era un cumulo di macerie e che piangeva i suoi morti, i giovani di Corato ripresero la strada dell’estero in un crescendo di espatri diretti in Francia, negli USA e, come nuova meta, in Venezuela.

Nel decennio compreso tra il ’50 ed il ’59 gli emigranti coratini si spostano verso il territorio dell’America Latina in grande quantità, raggiungendo la cifra di 1.134 persone, attratti dalla politica favorevole del dittatore venezuelano Marcos Perez Jimenez, convinto che l’immigrazione europea potesse essere determinante per lo sviluppo del paese.

Egli consentì l’ingresso di circa un milione di stranieri, tra costoro circa 300.000 italiani che, con gli 800.000 discendenti (considerando anche quelli di origini “miste”) costituiscono la seconda più importante comunità straniera in Venezuela dopo quella spagnola.

I coratini iniziarono a partire per questo paese sudamericano nel luglio del 1947. All’inizio erano solo 87. Il primo fu Vito di Bartolomeo, agricoltore di 31 anni, seguito a ruota da numerosi altri agricoltori/contadini. Ma la maggior parte degli emigrati fu costituita da artigiani: meccanici, falegnami, barbieri, pastai, fabbri, elettricisti, ebanisti, carpentieri, calzolai, verniciatori, ecc..

Da settembre il numero aumentò in maniera impressionante. La primissima ondata costituita ovviamente solo da uomini; ad ottobre iniziò anche l’esodo femminile ed i ricongiungimenti familiari.

Vincenzo Agatino, promotore e presidente del Centro Italo-Venezuelano di Corato così raccontava nel 2012 l’esperienza coratina in Venezuela.

«I primi compaesani si recarono in Colombia e in Brasile, dove la riforma agraria aveva consentito a molti “campesinos” di avere un pezzo di terra vergine da coltivare, una capra, un animale da soma e nient’altro. All’entusiasmo iniziale subentrò ben presto la delusione per una vita terribilmente dura e con scarsi profitti. Allora quei coratini attraversarono clandestinamente con le loro famiglie il confine e passarono in Venezuela. Furono loro a chiamare altri coratini dal 1947 in poi. Si partiva con navi che erano residuati di guerra, anche cacciatorpediniere, riadattate in qualche modo al trasporto di passeggeri. Il viaggio poteva durare dai 12 ai 21 giorni. Si attraccava al porto di La Guaira, distante 20 km. da Caracas. I coratini “si inventavano” qualsiasi tipo di lavoro. Chi arrivava come barbiere magari si metteva a fare il falegname, chi era muratore si cimentava come meccanico. Nessuno si arrendeva. Si sfruttava ogni possibilità. In Venezuela c’era una grande facilità ad intraprendere qualsiasi attività, senza particolari permessi od ostacoli burocratici.

Io ero un giovane cuoco e a Corato c’era poco da mettere in pentola. Mio fratello era già partito col permesso di lavoro rilasciato dal CIME, che portava avanti l’accordo tra governo italiano e venezuelano sull’emigrazione. Le sponde latino americane potevano essere raggiunte o così, o con “lettera di richiamo” da parte di un parente che garantiva l’occupazione. Mio fratello falegname mi richiamò con questa qualifica. Era il 1952.

Il popolo venezuelano accolse di buon grado i coratini che, insieme agli altri italiani, portarono il culto per il bello, la loro creatività, competenza, professionalità. I primi edifici in mattoni e cemento, compresi i grattacieli che tutt’ora svettano in numerose città venezuelano, sono stati realizzati da italiani: opere grandiose, come “le Torri del Silenzio” ed il Palazzo del Governo a Caracas, inaugurati nello stesso anno del mio arrivo. Come pure l’autostrada. Non avevo mai visto una via di comunicazione asfaltata così grande. Corato aveva le sue chianche, il basolato in pietra lavica del corso, la breccia a lastricare le viuzze che penetravano nei fabbricati costruiti uno addossato all’altro, quasi a farsi compagnia. Quanto mi mancavano quelle piccole cose, confrontate con luoghi, paesaggi ed abitudini diverse. Se mi fossi lasciato travolgere dalla nostalgia sarei stato perduto, come altri miei compagni. A noi immigrati vennero in aiuto le donne venezuelane: bellezze mozzafiato, affascinanti, generose, spontanee, amanti della vita e della musica. Colpite dall’intraprendenza lavorativa, ambivano a contrarre matrimonio con noi italiani. Fungevano da garanzia la nostra solidità di valori, l’attaccamento alla famiglia, il benessere che potevamo assicurare, la promessa di una casa in mattoni, spaziosa ed accogliente. Dopo tre anni ero già direttore ed amministratore unico di un albergo di lusso a Caracas, di proprietà della compagnia Shell. Ho accolto ospiti come la sorella della regina d’Inghilterra, i presidenti USA Kennedy e Johnson e altre numerosissime autorità venezuelane. In quegli anni da Corato siamo partiti in 14.000, molti sono rientrati, alcuni fanno parte del Centro Italo Venezuelano e ne sono orgogliosi, troppi invece rinnegano il loro passato di emigranti e ci ignorano. La stragrande maggioranza dei coratini mandava parecchio denaro ai familiari a Corato. Si può dire che lo sviluppo edilizio coratino degli anni ’60-’70 è stato possibile anche grazie a queste rimesse economiche. In Venezuela risiedono ancora 2.500 coratini, la maggior parte impiegati nel settore edile, agricolo, calzaturiero, nonché nella ristorazione e nell’artigianato».

Il sig. Agatino, rientrato benestante nel 1966, ha fatto in modo che intercorressero scambi ricorrenti tra governo venezuelano e coratino. Grazie al suo interessamento ben quattro sindaci locali sono stati accolti con tutti gli onori dal governo straniero. Allo stesso modo si è attivato per ospitare ben tre presidenti del Venezuela e vari ambasciatori. Per questo suo encomiabile impegno meriterebbe una riconoscenza adeguata.

mercoledì 19 Aprile 2023

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Vincenzo Quinto
Vincenzo Quinto
1 anno fa

Complimenti alla Redazione per aver scelto di dare il giusto risalto alla meravigliosa storia del Sig. Agatino che insieme alla storia di tanti altri Coratini , che come lui in quegli anni hanno lasciato Corato e le loro famiglie , con coraggio e determinazione sono partiti per la prospettiva di un futuro migliore. Futuro migliore che poi….puntualmente ed inevitabilmente si e’ verificato. Complimenti e onore a tutti loro. Ma soprattutto Onore a Lei Sig. Agatino che molto egregiamente li rappresenta simbolicamente tutti.

Roberto Colonna
Roberto Colonna
1 anno fa

Sono assolutamente d’accordo con Marina Labartino. Ho conosciuto Vincenzo Agatino abbastanza bene, molti anni fa ed ho avuto la fortuna di frequentare diversi coratini emigrati in Venezuela negli anni Cinquanta e Sessanta, poi tornati a Corato e divenuti soci del Circolo Italo-venezuelano. Tutte persone molto per bene, gran lavoratori, che hanno fatto apprezzare il nostro paese in Venezuela, importando a Corato ingenti capitali che hanno molto aiutato la nostra economia. Di Vincenzo Agatino ricordo la cortesia, la grande educazione, il sorriso. Sì, il sorriso! Non ricordo di averlo mai visto imbronciato. Ma quel sorriso, quell’ottimismo erano comuni a molti di quei coratini che erano tornati dal Venezuela. Evidentemente il ricordo di quell’esperienza pur dura, impegnativa quale era stata l’emigrazione in Venezuela non poteva essere dimenticato e rallegrava ancora i loro cuori.

franco
franco
1 anno fa

uomini di una tempra unica che hanno contribuito a fare l’ITALIA dopo la guerra e a costruire intere nazioni all’estero…rip