Da Lo Stradone

“Il coraggio di dire basta”. L’intervista a una donna vittima di violenza

Stefania Leo
Violenza sulle donne
Violenza sulle donne
La storia di Angela, 49 anni, ex vittima di violenza domestica, oggi donna libera
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Riproponiamo su CoratoLive.it gli articoli “senza tempo” pubblicati nei mesi scorsi su Lo Stradone. Un modo per avvicinare i lettori del web agli approfondimenti svolti sul cartaceo. Oggi, nella settimana in cui si celebra la donna, è la volta della storia di Angela, ex vittima di violenza domestica. Per abbonarsi a Lo Stradone è possibile mandare una email all’indirizzo info@lostradone.it oppure chiamare il numero 080.8983954.

La prima volta che Angela, nome di fantasia, ha sentito parlare di violenza contro le donne è stato in tv. «Pensi che siano fatti che non ti riguardano. Che quello che succede a te non è violenza. Ma non è vero». Angela vive a Corato ed è stata una vittima di violenza psicologica e fisica. Quattro anni fa si è rivolta al Centro Antiviolenza RiscoprirSi attivo nella nostra città per denunciare suo marito e mettere al sicuro sé stessa e i suoi figli. Oggi, che di anni ne ha 49, ha finalmente trovato la forza per raccontare la sua storia.

Angela, com’è iniziata la tua storia di violenza?
È iniziato tutto dopo il matrimonio. Mio marito Nino ha iniziato ad avere scatti violenti. Aveva iniziato a giocare d’azzardo e a fare uso sporadico di cocaina. Dopo la nascita del nostro primo figlio, sono cominciate le minacce e le ingiurie pesanti. Mi dava della scema, della stupida, diceva che non ero in grado di prendermi cura di nostro figlio. Tornava a casa senza soldi e ci ritrovavamo a non poter mettere nulla in tavola.

Ma Nino è sempre stato così? Come vi siete conosciuti?
Ci siamo conosciuti da ragazzini: è stato il mio primo fidanzatino, avevo 16 anni. Abbiamo cominciato a frequentarci insieme a un gruppetto di amici. Siamo cresciuti insieme e poi ci siamo sposati: io avevo 30 anni, lui 32. Faceva il muratore, ma con la dipendenza dal gioco, la cocaina e la mancanza di denaro, è passato ben presto dalla violenza verbale a quella fisica.

A quel punto, cosa hai fatto?
Ho trovato sempre il modo di proteggermi. Mi chiudevo in una stanza della casa e aspettavo che andasse via. Forse per questo non ci sono stati episodi di violenza tali da farmi finire in ospedale. Era come se avesse bisogno di scaricarsi, io mi nascondevo e lui se ne andava. Poi tornava con delle scuse, fiori, regalini e la promessa che non sarebbe più successo. Tante volte mi ha giurato che non avrebbe fatto uso di cocaina, ma non è accaduto. Tante volte mi prometteva che avrebbe trovato un lavoro, ma ero io a mandare avanti la famiglia. Quello che avevamo in casa arrivava grazie a me.

Che lavoro facevi?
Lavoravo come donna delle pulizie in casa d’altri.

I tuoi clienti e i tuoi familiari si sono accorti di quello che succedeva in casa tua?
No, Nessuno si è mai accorto di quello che stava succedendo, nemmeno i miei genitori. Io camuffavo molto. Non mostravo niente all’esterno. Tutti mi conoscevano come la Angela sorridente, che si occupava dei suoi figli. Nessuno mi ha mai fatto domande e io dissimulavo per proteggere i miei figli. Se i servizi sociali avessero saputo che vivevamo questa situazione in casa, temevo che i bambini mi sarebbero stati tolti. Per fortuna lui non si è mai scagliato contro i bambini.

In questa situazione avete anche avuto un secondo figlio.
Sì. Avevamo rapporti sessuali che rientravano nel nostro vivere violento. A volte mi sottraevo, a volte non potevo evitarlo. Mi sono abituata anche a questo. Non potevo sottrarmi.

C’è stato un giorno in cui hai avuto davvero paura per te e per i tuoi figli?
Il giorno più buio è stato quando mi sono dovuta chiudere in una stanza con entrambi i bambini. Nemmeno i pianti sembravano fermarlo più.

Qual è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso?
Da tempo stavo pensando di separarmi per non far più vivere questo inferno ai miei figli. Sentivo che forse potevo fare a meno di lui. Quando ho cominciato a pensare alla separazione, ho provato a parlargliene. Non volevo fargli del male: ed è per questo che non l’ho mai denunciato, per non far del male al padre dei miei figli. Speravo in una separazione consensuale e pacifica, anche per il bene dei nostri figli. Così ho provato spesso ad aprire l’argomento, ma lui chiudeva ogni canale di conversazione con scatti violenti. La sera prima di andare via di casa ci ho riprovato. Lui ha iniziato a buttare tutto all’aria e lì non ce l’ho fatta più. Ho preso i ragazzi e mi sono rifugiata a casa dei miei.

Quando hai contattato Riscoprirsi?
Chiusa la porta, ho avuto paura che ci inseguisse per strada e ci facesse qualcosa. Ero in ansia, agitata. Ma avevo avvertito mio padre ed ero contenta di essere riuscita a scappare, trovando rifugio a casa. Finalmente potevo iniziare a raccontare la verità sui tanti anni di matrimonio. Perché lui era riuscito anche ad allontanarmi dai miei genitori.

Non ti faceva vedere la tua famiglia?
No. Facevo loro brevi visite e non raccontavo nulla. Evitavo di andare a casa loro per le feste comandate per non rovinare la festività a tutti. Non mi hanno mai fatto domande e quando ho parlato con loro, mi hanno confessato che avevano capito che c’era qualcosa che non andava. Ma guidati dal detto “tra moglie e marito…”, si sono fatti andar bene questo silenzio. Quando ho raccontato ciò che avevo passato, sono stati dalla mia parte, soprattutto mio padre, che mi ha molto sostenuta e aiutata. Ho chiamato RiscoprirSi la mattina dopo essere andata a casa dei miei genitori. Ho avuto un colloquio telefonico con l’operatrice.

Come hai conosciuto il Centro Antiviolenza?
La presidente Patrizia Lomuscio era una mia compagna d’infanzia. Seguivo la pagina Facebook dell’associazione. Lì c’erano i numeri di telefono e ho chiamato. All’operatrice ho raccontato quello che era successo. Ho chiesto come potevo tutelare i miei figli e lei mi ha indicato la strada.

Cosa hai fatto a quel punto?
Ho mandato un telegramma a casa di mio marito, in cui lo informavo che ero andata via perché subivo violenza, che mi portavo via i bambini, dicendo dove si trovavano, per non essere accusata di sottrazione di minori. Dopo questo primo passo ho fissato un appuntamento presso lo sportello antiviolenza, dove ho incontrato la persona che mi ha seguito in tutto il percorso. Finalmente potevo parlare di quello che mi era successo e di quello che avevo dentro.

Come ti sentivi?
Nino mi aveva convinta che il modo in cui mi trattava dipendesse da me. Che ero io la buona a nulla. Che ero io la cattiva madre. Ora potevo confrontarmi con un’altra persona. Ho ricevuto supporto legale perché, dopo essere andata via di casa, sono arrivate le minacce.

Cosa ha fatto tuo marito?
Veniva a fare piazzate sotto casa dei miei, a minacciare di morte i ragazzi… Mi sono dovuta convincere che la denuncia andava fatta perché lui non si sarebbe mai arreso.

Cos’è successo dopo la denuncia?
Contestualmente, sono partiti una denuncia e una segnalazione al tribunale dei minori. Ho raccontato tutto quello che avevamo subito negli anni precedenti. Così lui prima ha avuto un richiamo bonario da parte delle forze dell’ordine, che lo hanno calmato. Ma so che in tante altre storie non funziona così. Nel frattempo ci siamo separati e ha perso la responsabilità genitoriale. È un po’ come se si fosse calmato per conto suo, anche se so che non sempre succede così. La denuncia è servita.

Com’è oggi la tua vita?
Molto diversa. Ho un compagno con cui convivo da un paio di anni, che è diventato un nuovo modello per i miei figli. Hanno cominciato a prenderlo come punto di riferimento. Ha accompagnato mio figlio maggiore a prendere la patente, è sempre stato presente alle riunioni scolastiche. Hanno sperimentato un altro modello di uomo e ho cominciato a capire cos’è il rapporto di coppia alla pari. Abbiamo sempre deciso tutto insieme, ho sempre potuto dire la mia e abbiamo sempre parlato di tutto. Quello che ho notato è che solo oggi sto sperimentando un modello di rapporto che avevo sempre visto nei miei genitori. Infatti, durante il percorso mi chiedevo come ho potuto ficcarmi in un rapporto così, nonostante a casa mia non ci fossero mai state violenze e ingiurie tra i miei genitori.

Qual è l’errore che non rifaresti?
Credere che lui potesse cambiare. L’ho fatto ogni volta che mi diceva che avrebbe cercato un lavoro, che sarebbe cambiato. Avrei solo voluto fermarmi prima perché mi rendo conto che così sono passati tanti anni tra sofferenze atroci.

Cosa consigli alle donne che si trovano in una situazione di violenza familiare?
Di rivolgersi al Centro Antiviolenza. Cominciando a parlare con qualcuno che può capirti e non ti giudica, che non ti costringe a fare niente. Ci tengo a dire che tutto quello che ho fatto, l’ho fatto su loro suggerimento, ma mai costretta. Iniziare a parlare sarebbe già una svolta. Il resto può venire anche dopo. Ma restare chiuse in sé stesse non aiuta.

Violenza sulle donne: un frutto della nostra cultura

La violenza sulle donne inizia in modi insospettabili, quasi giustificati o attesi. Il fidanzatino che controlla lo smartphone. La gelosia ossessiva “che dimostra che, a te, ci tiene”. E non stiamo parlando di cronache “lontane”, televisive, ma di fenomeni che riguardano anche la nostra città.

La violenza sulle donne esiste anche a Corato e lo dimostrano i numeri del Centro Antiviolenza RiscoprirSi. Dal 2015 al 2018 34 donne della nostra città hanno chiesto aiuto nelle case rifugio dell’organizzazione. Nel 2019 sono state 19, 20 nel 2020 e altre 20 nel 2021. Poi, l’impennata: da gennaio a settembre 2022 sono state 24 le richieste di accoglienza. Le telefonate non si contano. A volte sono le stesse persone che chiedono aiuto in giornata. Poi le cose peggiorano e vengono invitate dagli operatori e operatrici ad andare al pronto soccorso o a rivolgersi alle forze dell’ordine. Le categorie di chiamanti più frequenti sono le donne sposate o che convivono, fidanzate ma all’interno di una relazione violenta, situazione che poi peggiora quando decidono di separarsi. Il supporto del Centro è costante. La guardia sempre alta.

La violenza contro le donne è «una forma di sopraffazione e di limitazione della libertà della donna, che provoca paura – spiega Patrizia Lomuscio, presidente del Centro Antiviolenza RiscoprirSi e coordinatrice istituzionale, nonché psicologa e criminologa – Tutte le donne, a prescindere dalla forma, provano paura nei confronti del violento. Ed è proprio questo elemento che fa la differenza fra il conflitto e la violenza. Il conflitto prevede un confronto sullo stesso livello. La violenza colloca l’uomo in posizione dominante rispetto alla donna».

Tutto inizia da molto lontano, dall’adolescenza e dai quei comportamenti giustificati senza contraddittorio. «È come se per le ragazze si fosse abbassata l’asticella. Siamo tutti e tutte abituate a pensare che le donne vittime di violenza debbano vivere in situazioni di sopraffazione, ma non è così. La cultura patriarcale porta anche i ragazzi a sentirsi legittimati nel perpetrare atteggiamenti violenti, magari imponendo un rapporto sensuale non consenziente. Dal canto loro, le ragazze in qualche modo sentono legittimato quel modo di imporre. Quando impongono di non partecipare alle gite per gelosia, la vedono come una cosa positiva. Il patriarcato è questo: un modello culturale in cui gli uomini cercano di controllare le donne, non tenendo conto della loro unicità».

Questo modello culturale può “fermarsi” alla violenza psicologica. O degenerare, com’è successo ad Angela. Il Centro Antiviolenza RiscoprirSi è una delle risposte al fenomeno. Nato il 19 febbraio 2009, inizia le sue attività ad Andria il 15 giugno dello stesso anno. Oggi è presente con sedi dedicate anche a Corato, Ruvo e Terlizzi. Il suo obiettivo primario è accogliere, accompagnare e supportare le persone – principalmente donne e minori – che subiscono una qualsiasi forma di violenza. Inoltre, l’impegno del Centro si concentra anche sulla promozione di una cultura basata sulla non violenza. Per questo, gli operatori che operano a RiscoprirSi sono sottoposti a una minuziosa formazione, che parte proprio dalla consapevolezza del contesto culturale in cui si vive, che legittima determinati comportamenti violenti, a volte minimizzati e ridicolizzati. «Oltre agli aggiornamenti sulle normative e alle opportunità da offrire alle vittime di violenza, li aiutiamo a lavorare proprio sul modo di rapportarsi alle vittime evitando ridicolizzazioni». Inoltre, gli operatori vengono informati sulle attività della casa rifugio e sulle competenze di ogni servizio, compresi commissariati e tribunali.

Le cronache sono piene di casi di femminicidi “che avrebbero potuto essere evitati”. Trascurati o minimizzati nei commissariati, diventano poi casi risolti tragicamente perché non si è intervenuti sul soggetto violento. «RiscoprirSi collabora con le istituzioni, che partecipano ai nostri corsi. Si lavora sulla consapevolezza e sulle procedure: cosa fare in una situazione ad alto rischio, quando più utile allontanare il maltrattante… Tuttavia, il miglioramento non passa dagli esponenti delle forze dell’ordine, ma dalla struttura stessa del nostro sistema».

Se chiedo all’interno di un consesso quante donne hanno subito una forma di violenza, sono certa che tutte potrebbero dire di sì. Le forme di violenza sono tante e molto diverse: in ambito lavorativo c’è il mobbing, la discriminazione di genere o per una gravidanza, per cui ancora oggi si fanno firmare fogli di dimissione in bianco. Poi c’è il catcalling (commenti indesiderati, gesti, strombazzi, fischi e avance sessuali in aree pubbliche come strade, ndr.). Per far comprendere il fenomeno, chiedo agli uomini: vi è mai capitato di sentirvi gli occhi addosso, nominati con termini non consoni mentre camminate per strada? Per noi è la normalità. Non si tratta del semplice fischio, ma di una forma di violenza che sfocia nella persecuzione, persino nello stalking». E poi c’è la violenza fisica. Che non è solo quella che lascia i segni, ma gli sputi e gli spintoni, i mobili mandanti in pezzi, gli oggetti lanciati contro le vittime. Si inizia con uno schiaffo e poi si va oltre.

«L’uomo che ha agito comportamenti violenti, non ha rispetto della partner. Non ritiene che sia libera di lasciarlo. Non tollera la frustrazione dell’essere lasciato. Non riesce a rendersi conto del perché sia stato lasciato». Ma c’è anche un’altra faccia del fenomeno, che vede le donne carnefici e gli uomini vittime. RiscoprirSi ha preso in carico due soggetti, vittime di donne carnefici. «Uno di questi è un professionista, vittima di violenza psicologica e fisica da parte della moglie. Ha deciso di chiedere aiuto, emancipandosi da questa situazione, anche grazie all’aiuto dei figli. Anche le donne possono essere violente. Ma la differenza non sta solo nei numeri: la violenza di genere è una questione culturale, molto radicata culturalmente, così strutturato che è difficile da sradicare».

Il fenomeno riguarda anche la comunità Lgbtq+. RiscoprirSi collabora anche con Arcigay Bat Le Mine Vaganti e ha predisposto una squadra dedicata al fenomeno. «La violenza è la stessa. Stesse dinamiche tra uomini e donne, con la differenza che all’interno c’è anche tutta la parte legata al coming out, con minacce subite sul far sapere agli altri della propria sessualità».

A tutte queste situazioni c’è una sola risposta: denunciare. «Farlo vuol dire tutelarsi. Se si è in una situazione ad alto rischio, denunciare è fondamentale perché è possibile mettere in moto meccanismi per allontanare il maltrattante e vietare che stia vicino alla vittima. Ci sono una serie di misure che il nostro ordinamento può mettere in atto, che servono proprio a tutelare le vittime e, quando ci sono, i figli delle stesse».

Info sul Centro Antiviolenza RiscoprirSi

Si può raggiungere il Centro Antiviolenza RiscoprirSi attraverso due numeri di telefono, attivi 24 ore su 24 (0883/764901-380/3450670). Si forniscono assistenza nella gestione delle emergenze, sostegno psicologico e counseling di gruppo o individuale, creazione di progetti individuali, consulenza legale, attività di rete con vari servizi del territorio, formazione, prevenzione e sensibilizzazione. Infine, si effettua attività di ricerca sul complesso fenomeno della violenza. Anonimato, riservatezza e gratuità sono sempre garantiti. La sede del Centro Antiviolenza RiscoprirSi si trova in via Don Luigi Sturzo, 46 ad Andria, ma ha anche sedi secondarie a Ruvo, Terlizzi e Corato. Quest’ultima è sita in via Dante, 59.

Cosa fare in una situazione ad alto rischio

Se pensi o ti chiedi se sei vittima di violenza, chiama il 1522 o uno dei numeri del Centro Antiviolenza RiscoprirSi. Sei in una situazione ad alto rischio quando senti che possono succedere cose gravi da un momento all’altro. Grida, chiuditi in una stanza e chiama per chiedere aiuto alle forze dell’ordine o a un centro antiviolenza. Evita di andare in giro da sola.

domenica 12 Marzo 2023

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