Storia della città

San Bartolomeo, la chiesetta scomparsa

Marina Labartino
La ricostruzione della sagoma della facciata della chiesa di San Bartolomeo (a cura di Giuseppe Magnini)
Sull'attuale via Roma, i resti dell’antichissima devozione dei macellai coratini
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L’intitolazione di una strada non è un fatto scontato. I nomi dei luoghi aiutano a capire la storia, la cultura, i valori di quel territorio o di quell’area in particolare. Più conosciamo la storia di questi nomi, più il ricordo rimane nella memoria. La toponomastica, almeno quella dei secoli scorsi, basava le sue logiche su scelte ponderate e lineari.

Occorre sapere che un tempo, quella che oggi è conosciuta come Via Roma, aveva una doppia denominazione. Lo conferma una planimetria risalente al 1850, nella quale, partendo da Largo (oggi Piazza) Sedile e fino a Largo San Francesco (attuale piazza Di Vagno), era indicata come Strada La Piazza, ma nota tra il popolo come Via delle Beccherie. Iniziando invece da Larghetto della Pietà (ora sempre piazza Di Vagno) fino allo sbocco sull’anello dello stradone (oggi Corso Garibaldi) era indicata come Strada San Bartolomeo.

In una città come Corato, la cui economia si nutriva prevalentemente di prodotti agricoli, Via delle Beccherie testimoniava l’alta concentrazione di macellerie (tre, quattro? non ci è dato saperlo), mentre Strada La Piazza stava ad indicare (sulla scorta delle abitudini cittadine) quell’arteria che immetteva nel luogo in cui, più di altri, fiorivano i commerci e gli scambi, anche di informazioni. Un vero e proprio centro sociale e commerciale all’aperto, ricco di colori, suoni e richiami pittoreschi.

Una consuetudine salda fino agli anni ’70 del secolo scorso quando l’espressione “andare in piazza” significava letteralmente “andare a far spese” ma anche ritrovarsi nel punto d’incontro tra offerta e domanda di lavoro.

Altrettanto numerose erano le strade dedicate a Santi, dovute alla presenza di una chiesa, cappella o edicola votiva. Sopravvivono all’oblio coratino: Arco Santa Rita, Arco San Michele, Vico San Francesco, Via San Domenico, Via San Benedetto, Via San Vito, ecc. Le piazze o strade nate nel Medioevo, momento caratterizzato dallo sviluppo del cristianesimo, vedevano sempre la presenza di una chiesa e del suo campanile.

Su quella via, indicata nel 1850 come Strada San Bartolomeo, insisteva, in corrispondenza degli attuali civici 18-20, una chiesupola, inglobata nel tempo dalle costruzioni civili e dunque profondamente alterata. Gli unici segni tangibili esterni si intuiscono nell’accenno di timpano presente sulla facciata e nelle due finestre monofore, di cui una murata.

Fino al 1952 la proprietà apparteneva al farmacista Sannicandro. L’acquisto negli anni ’70 da parte dei dottori Samarelli e Cantatore e il relativo necessario restauro dei locali, svelarono “nel muro posteriore, un altare situato nell’incavo della pietra”, come scrive il prof. Nicola Fiore nella sua “Storia di Corato” a pag. 27. È dunque evidente, che lo stabile, dotato di locali con volte ad arcata, com’era in uso per le chiese del XIII secolo, fosse anticamente adibito a luogo di culto ed aveva annesse abitazioni o celle per i frati, come si evince dalla pianta catastale del luogo. A causa del degrado in cui versava, a metà del 1800 fu trasformato in stalla per il ricovero degli animali da traino.

Una recente visita del dott. Giuseppe Magnini (autore delle immagini pubblicate nella galleria fotografica), gentilmente concessa dall’attuale proprietaria, signora Monica D’Imperio, ha rivelato una serie di ambienti a pianterreno con sotterranei di chiara impronta medievale.

Della parte anteriore della Chiesa resta ben poco. «Nella parte posteriore, invece, – scrive in un post su facebook il dott. Magnini – è visibile un’ampia stanza con volta a botte e tre nicchie laterali con arco a tutto sesto. Tuttavia gli ambienti meglio conservati sono quelli della rete labirintica dei sotterranei, i cui conci in pietra calcarea esaltano le forme delle pareti e delle volte a crociera».

Giuseppe Magnini suggerisce anche un loro eventuale utilizzo: renderli fruibili per conferenze, mostre e visite guidate per andare alla scoperta del patrimonio medievale della nostra città.

San Bartolomeo: l’abbadia citata nei documenti

La presenza di tale chiesa è attestata in un prezioso documento del 1851 (Collezione Cristoforo Scarnera) stampato nella Tipografia di Giuseppe Carluccio di Napoli, in cui sono riportate le “Osservazioni presentate dall’Arcivescovo di Trani e Nazaret sulla esatta intelligenza del Real Rescritto del 5 luglio 1848 mercè il quale l’Abbadia di S. Bartolomeo Apostolo di Corato in provincia di Bari è dichiarata beneficio ecclesiastico”, ovvero soggetta all’istituto giuridico risalente ai tempi del feudalesimo, attribuito alle proprietà fondiarie ed immobiliari che concedeva in usufrutto alcuni beni ai chierici, per compensarli dei loro uffici e, alla loro morte, ritornavano alla Chiesa cattolica.

Da tempo remotissimo – recita il documento nel ricostruire la storia di tale istituto giuridico e l’avvicendarsi dei proprietari – nella famiglia de Nona di Corato esisteva un beneficio sotto il titolo di S. Bartolomeo … I discendenti di tal famiglia aumentarono con delle aggregazioni il beneficio istesso, fino a che nel 1674 chiesero ed ottennero che fusse elevato ad Abbadia”.

Da quel momento in poi ne furono investiti anche i discendenti “cioè Angela de Nona, Giustina Bova, Colabella, Margherita Cudigniello (o Cotignello) ed altri … L’ultimo titolare fu D. Vincenzo Codignac“, figlio di D. Domenico Codignac, barone della città di Corato, al quale fu conferito dall’Arcivescovo di Trani il 9 giugno 1842 con rogito per notaio D. Benedicti Lamberti, beneficio riconosciuto e dichiarato tale anche “dal nostro Augusto Sovrano con il R. Rescritto del 1848“.

In virtù di tale bolla, al Codignac veniva imposto “l’obbligo di celebrare e far celebrare messe quotidiane, recitare uffizi ed altre preci giornaliere, con disimpegnare vari esercizi di pietà“.

Ma qualcuno si era impossessato arbitrariamente “dei beni riuniti all’Abbadia” per i quali il Codignac chiedeva la restituzione: “Parco de Nona, fondo la Palude, Strettata Chiapparoni e la Scoverta” fondi che “formavano il patrimonio di quell’Abbadia“.

Nello scorrere tale documento è evidente la controversia in corso: il potere giudiziario/civile (la Gran Corte Civile di Trani sostenuta dalla Corte Suprema di Giustizia) aveva invaso le competenze del potere ecclesiastico (Arcivescovo Cajetanus de Franciae) … volendo revocare tale “beneficio” in piena violazione del “Real Rescritto del 15 settembre 1838, del 9 febbraio 1839 e l’altro del 26 ottobre 1839, degli articoli 20 e 22 del Concordato, non che l’ultimo Real Rescritto dichiarativo nella quistione del 5 luglio 1848″ in cui si osserva “usurpata e manomessa la giurisdizione Episcopale e dissipato il patrimonio dei poveri”.

L’atto spiega anche lo stato di degrado in cui versava in quel periodo “tale tempio dedicato a Dio, oggi ridotto a stallone che, a premura dell’Abbate Codignac e con massimo dispendio, sostiene litigio per liberarlo dalle mani degli attuali detentori: comunque tutt’ora sulla porta vi si osservasse la legenda “Appartenente al Beneficio di S. Bartolomeo”.

San Bartolomeo, protettore dei macellai

San Bartolomeo, locali a pianoterra
San Bartolomeo, locali a pianoterra

Ma perché edificare e dedicare una chiesa ad un Santo così particolare? Il rebus è presto risolto. San Bartolomeo è protettore di diverse attività artigianali che operano con coltelli ed arnesi da taglio, tra cui i macellai. I negozianti coratini che esercitavano quel mestiere sulla nota Via delle Beccherie, espressero la propria devozione al Santo, dedicandogli una piccola chiesa già in epoca medioevale.

È plausibile infatti che le origini di tale tempio siano contemporanee alla chiesa di S. Nicola (eretta in Piazza di Vagno intorno al XIII-XVI sec., poi inglobata nel convento e chiesa dei Francescani, abbattuti nel 1861) e alla Chiesa Matrice (XI sec.).

Di certo in tale luogo gli antichi beccai coratini pregavano e si riunivano per affidare alla benevolenza del Santo attrezzi da lavoro e ambasce.

Chi era San Bartolomeo?

San Bartolomeo fu un Apostolo di Cristo, nato nel I secolo a Cana in Galilea, morto verso la metà del I secolo, probabilmente in Siria, subendo, secondo la leggenda, un martirio tremendo: scuoiato vivo e decapitato. Per questo viene spesso raffigurato con il manto della sua pelle sulle braccia o con un coltello in mano. Il suo supplizio è ricordato anche nel Giudizio Universale della Cappella Sistina, mentre la sua più nota scultura (opera di Marco D’Agrate, allievo di Leonardo da Vinci, caratterizzata dalla minuta precisione anatomica con cui viene reso il corpo umano privo della pelle, scolpita e drappeggiata attorno al corpo) è esposta all’interno del Duomo di Milano, in cui è rappresentato scorticato e con la Bibbia in mano. Alcune reliquie del Santo sono conservate nel Museo Diocesano di Benevento, una delle città che lo ha eletto suo protettore.

mercoledì 1 Marzo 2023

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nerdrum
nerdrum
1 anno fa

questione interessantissima. perchè nn si chiama roberto giacobbo e la troupe di “freedom” per venire a fare un servizio, un’indagine.vuoi vedere che a corato c’erano i templari oltre che ai viccieri? a margine potrebbe interessarsi anche dei fenomeni di autocombustione delle auto. le due cose potrebbere essere collegate.

Mariella
Mariella
1 anno fa
Rispondi a  nerdrum

Hai tanto tempo da perdere nerdrum!

nerdrum
nerdrum
1 anno fa
Rispondi a  Mariella

mariella ho lo stesso tempo da perdere che hai tu. in italia se c’è una libertà conclamata è quella di sparare “c”. altresì devo dirti di stare serena, di nn prenderti troppo sul serio e farti crescere un minimo di senso ironia. sarò un deficiente, ma tu nn vai da nessuna parte, che noia di donna devi essere.

Ss ss
Ss ss
1 anno fa
Rispondi a  nerdrum

🤣🤣🤣🤣🤣🤣

Francesco
Francesco
1 anno fa
Rispondi a  nerdrum

A Corato c’erano i templari: la chiesa di S. Vito è una chiesetta templare. Basta vedere la croce in pietra sul retro

Francesco
Francesco
1 anno fa
Rispondi a  nerdrum

La prima testimonianza templare a Corato è quella di una chiesa, intitolata a «San Vito de Templo», e risale ad un documento notarile del 1206 e riportato nel Codice Diplomatico Barese. L’intitolazione ha fatto ad ipotizzarne l’appartenenza all’ordine dei Cavalieri Templari, che avevano fondato “commende”, ospedali e chiese in Puglia, in prossimità delle città portuali di imbarco per la Terra Santa, e che gestivano possedimenti terrieri nell’agro di Terlizzi e Ruvo. Del resto, la presenza della croce templare sul retro della chiesetta conferma questa che può ritenersi più di una semplice ipotesi. La chiesa probabilmente serviva per accogliere pellegrini e viandanti. Dopo la soppressione dell’ordine templare, essa sarebbe passata all’ordine dei cavalieri Gerosolomitani. Nel ‘600 pare che la chiesetta fosse annoverata tra le commende dei dei Gerosolomitani. Poi seguirono gli Ospitalieri divenuti in seguito Cavalieri dell’Ordine di Malta

nerdrum
nerdrum
1 anno fa
Rispondi a  Francesco

che dire? mi taccio di fronte a tanta saccenza. grazie x l’illuminata relazione.

M.D
M.D
1 anno fa
Rispondi a  Francesco

Bellissimo articolo…..e bravo Francesco per queste informazioni…ben vengano queste iniziative…….e bello conoscere le nostre antichità!

Pendolare
Pendolare
1 anno fa
Rispondi a  nerdrum

E cosa c’entra la scoperta di una chiesa con le auto incendiate? Non c’è nessun nesso logico, solo benaltrismo.

Ss ss
Ss ss
1 anno fa
Rispondi a  nerdrum

🤣🤣🤣🤣🤣

Mariella
Mariella
1 anno fa

Bellissimo e interessante articolo, alla scoperta dell’antica e dimenticata storia di Corato. Complimenti a Marina Labartino

Pier Luigi
Pier Luigi
1 anno fa

Articolo interessante!

Vincenzo Quinto
Vincenzo Quinto
1 anno fa

Brava Marina Labartino

Aldo
Aldo
1 anno fa

Complimenti al dott Giuseppe Magnini per il lavoro svolto alla riscoperta della nostra città, magari ci fosse altra gente che collaborare a questa riscoperta

Ss ss
Ss ss
1 anno fa

Interessante articolo.Soprattutto per i Coratoni ,che dovrebbero conoscere
La storia del proprio paese .Peccato pero’in passato gli antichi beccai coratini pregavano e si riunivano per affidare alla benevolenza del Santo attrezzi da lavoro e ambasce.,oggi le nuove generazioni in quelle viuzze e piazza affidano alla droga ,e al
Bere le
Loro teste vuote.🥳