Da redentorista a secolare

Don Cataldo, la sua vita in un’intervista esclusiva: «I sacerdoti non vanno mai in pensione»

Marina Labartino
Don Cataldo Bevilacqua
Don Cataldo Bevilacqua
Il racconto della vita del sacerdote coratino - scomparso ieri all'età di 76 anni - attraverso le sue stesse parole in una intervista esclusiva rilasciata il 24 novembre 2021
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Ieri è tornato alla casa celeste don Cataldo Bevilacqua. Il racconto della sua vita attraverso le sue stesse parole in una intervista esclusiva rilasciata il 24 novembre 2021.

A parte il periodo trascorso in istituti campani per la formazione religiosa, don Cataldo Bevilacqua è sempre vissuto ed ha operato a Corato, dove è nato il 22 luglio 1946 al rione Gallo, nella piccola famiglia composta dal padre Vito, dalla madre Angela Di Gennaro e dalla sorella Isabella.

San Giuseppe, San Domenico e San Gerardo ricorrono costantemente nella sua vita, quasi a scandirne il tempo. Battezzato nella Chiesa di San Giuseppe, il piccolo Cataldo trascorre una infanzia serena e laboriosa, come tanti altri ragazzi della sua età.

Il padre, massaro sulla Murgia a Sansanello e poi a Citoli da Benedetto Spallucci, torna a casa ogni “quindicina” e vi resta giusto un paio di giorni. Troppo pochi per influire sulla vita del piccolo Cataldo, che invece, riceve i fondamenti della sua educazione prevalentemente dalla nonna Luisa Torelli e dagli zii materni: Vincenza, Luigi e Felice Di Gennaro, residenti in via Capoccia da Roma.

Al pomeriggio, infatti, svolti i compiti di scuola, trascorre il suo tempo libero tra i trucioli della falegnameria degli zii Luigi e Felice, attigua alla Chiesa di San Domenico, dove frequenta il catechismo.

Zia Vincenza, invece, conquistata dall’oratoria dei padri Redentoristi che predicano presso la piccola Chiesa di San Gerardo, vi si reca spesso e porta con sè i due nipoti per partecipare alle orazioni ed alle celebrazioni eucaristiche. Ed è proprio nella Chiesa di San Gerardo che il piccolo Cataldo riceve la sua prima Comunione.

Il connubio tra l’esempio di laboriosità e fede vissuta nella semplicità dell’armonia familiare e la dedizione con cui i padri Redentoristi svolgono il proprio ministero, gettano nel suo cuore infantile il seme della vocazione sacerdotale. Il suo riferimento è il Superiore padre Giuseppe Capone, guida spirituale di molti altri ragazzi che frequentano il piccolo seminario coratino redentorista.

Dopo aver conseguito la licenza elementare con il maestro Tommaso Barbaro, detto prof. Giacchetta, Cataldo frequenta il triennio di avviamento e il primo anno di scuola tecnica, all’epoca allocato in alcune stanze dell’attuale Municipio.

Presto però si rende conto che non è la sua strada. Ha solo 16 anni quando afferra il coraggio a due mani e dichiara espressamente ai genitori le sue intenzioni. Unico figlio maschio, la sua decisione è fortemente contrastata dal padre. Anche la madre tentenna: «Ma davvero vuoi fare questa vita? mi diceva mamma con gli occhi lucidi di pianto –  spiega don Cataldo – e si raccomandava: pensaci bene, non sono scelte su cui scherzare. Ma io non scherzavo affatto. Anzi ne ero sempre più convinto».

Nell’autunno del 1963 Cataldo lascia Corato per frequentare il biennio di ginnasio presso l’educandato redentorista di Lettere (NA) dove riceve la prima formazione. L’anno di noviziato lo trascorre a Ciorani (SA). Qui apprende i fondamenti della regola, pronunciando la prima professione temporanea a 18 anni. In entrambi gli istituti vive momenti di grande fratellanza e affiatamento con gli altri ragazzi. «Non lo posso negare – ricorda con emozione – Sono stato molto felice».

In particolare durante i mesi estivi, trascorsi in due antichi monasteri di clausura di suore Redentoriste. Prima nella piccola cittadina di Scala, posta su di uno sperone roccioso affacciato sul mare della costiera amalfitana e poi a Sant’Agata dei Goti, la perla del Sannio, tra le colline beneventane, con la suggestiva “infiorata” del Corpus Domini ed i festeggiamenti dedicati al patrono Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, fondatore dell’Ordine dei Redentoristi.

«Affiancavamo nella giornata lavorativa alcuni muratori che si occupavano del risanamento delle strutture. – precisa con un sorriso – Insieme agli altri studenti il nostro impegno sgravava le suore dal pagamento degli operai. Oggi sarebbe vietato, perché considerato sfruttamento minorile, ma per noi era una ulteriore formazione. Inoltre vivere all’aperto, dopo mesi di studio, irrobustiva i muscoli e ci rendeva molto soddisfatti».

Non solo formazione teologica, dunque, ma anche grande esperienza pratica «affinchè, una volta diventati sacerdoti e missionari, potessimo comprendere la durezza della vita, del lavoro quotidiano ed immedesimarci e comprendere le problematiche e le sofferenze dei fedeli», aggiunge serio.

Anni di routine che ripercorre con un pizzico di lieta nostalgia, scanditi da momenti sempre uguali, ma proprio per questo rassicuranti: la sveglia alle 6.00 del mattino, la pulizia personale, il rifacimento delle stanze, la celebrazione eucaristica in cappella, la colazione, semplice ma abbondante, e poi le lezioni dalle 8,30 alle 13,00. Dopo il pranzo e lo svolgimento dei compiti assegnati, tutti insieme o a gruppetti, i giovanetti trascorrevano un’oretta di ricreazione. Poi ancora preghiere e messa in cappella, la cena e, a seguire, qualche momento di relax ed ascolto reciproco sull’andamento della giornata prima di andare a letto. Il tutto nella semplicità della vita quotidiana.

«Con alcuni ho stretto amicizie durature, mantenendo contatti fino a poco tempo fa. Qualcuno purtroppo è passato a miglior vita, altri hanno interrotto il percorso vocazionale. Capita!», dice stringendosi nelle spalle.

Intanto il padre viene a mancare. «Ero ancora uno studente. Padre Bucci, superiore di Corato, mi ha detto che dovevamo partire per la nostra città, senza svelarmi altro. Mi ha informato del decesso di mio pare solo a due passi da casa mia» la voce baritonale di don Cataldo fa una pausa.

A Colle S. Alfonso, nella Casa posta sulla ridente collina dei Camaldoli di Torre del Greco, da dove si gode il panorama dell’intero golfo di Napoli, frequenta gli ultimi tre anni di formazione e porta pure a compimento i quattro anni di studi teologici. Qui, nella bianca Chiesa barocca, conferma la professione perpetua ed il 5 agosto 1973 viene ordinato sacerdote. Uniche ad assistere alla solenne cerimonia: la madre e la sorella.

«Ad essere ordinati sacerdoti eravamo in nove. – ricorda don Cataldo – L’afflusso di fedeli fu così copioso che la cerimonia si dovette tenere all’aperto perché in chiesa il caldo era soffocante. Ma anche fuori, sotto il sole, il clima non era l’ideale per una persona ormai anziana e di poca salute come mia madre. Già ero in ansia di mio. Non nascondo che fossi preoccupato perché le comunicazioni a quel tempo non erano così immediate come oggi. Sapevo che sarebbero arrivate, ma solo quando le vidi insieme, tra la folla, tirai un grosso sospiro di sollievo. Il Signore ebbe pietà di tutti e non si verificò alcun malore tra nessuno dei familiari partecipanti all’evento, giunti da diversi paesi del sud Italia».

Rientrato a Corato alla sera, due giorni dopo padre Cataldo celebra la sua prima Messa nella Chiesetta di San Gerardo, dove rimane fino al 1982. Il clima di festa si rinnova anche in quella occasione. La comunità parrocchiale accoglie il suo ritorno da sacerdote con grande entusiasmo. Dopotutto padre Cataldo non è uno sconosciuto. Da studente è tornato spesso nel paese natio e, nei brevi periodi concessi dalle pause di studio, non è mancato di recarsi e sostare lunghe ore a San Gerardo.

La parrocchia, fondata nel 1974, è guidata per qualche mese da padre Giuseppe Muccino a cui succede padre Cataldo Bevilacqua dal 1975 al 1978, coadiuvato dal viceparroco padre Salvatore Brugnano. Diversamente dagli altri missionari redentoristi, padre Cataldo non gira il mondo e neanche l’Italia. La sua missione è circoscritta alla parrocchia di San Gerardo. Dopodichè, per motivi famigliari, lascia la Congregazione Redentorista ed entra nel clero secolare.

«Nel 1982 dovevo essere trasferito lontano, come vuole la regola redentorista. – afferma spiegando la sua scelta – Mia madre era vedova da tanti anni e di salute cagionevole. Mia sorella era rimasta nubile. Ed io ero l’unico loro sostegno e punto di riferimento. Non potevo lasciarle sole».

Dopo San Gerardo, don Cataldo svolge il ministero sacerdotale per un anno presso la parrocchia di San Giuseppe, poi l’arcivescovo mons. Carata gli propone di diventare parroco a San Domenico, dove resta fino al 2004. «Si trattava di un ritorno nei luoghi della mia infanzia. Accettai con piacere».

Al ruolo di parroco si aggiungono: l’insegnamento della religione presso la scuola media annessa all’Istituto Statale d’Arte su via Andria, dove svolge la professione per 24 anni, fino al 1997, la cappellania presso l’Ospedale di Corato, il vicariato della zona pastorale San Cataldo per 15 anni.

Un carico di impegni che don Cataldo sopporta bene, ma che diventa sempre più greve con l’avanzare dell’età e le sopraggiunte incombenze scolastiche dovute a nuove normative. Inizia col lasciare l’insegnamento, poi rifiuta anche l’ennesima proposta di prosecuzione di parroccato a San Domenico.

Accetta invece di buon grado l’incarico di Rettore della Chiesa Matrice avanzato dall’arcivescovo mons. Pichierri. Presso Santa Maria Maggiore continua a svolgere, per sette anni, il ruolo di vicario zonale.

Anche quest’ultimo impegno diventa troppo gravoso, per cui mons. Pichierri nomina vicario e rettore don Peppino Lobascio, assegnando a don Cataldo il compito più lieve di cappellano presso la Comunità religiosa delle Figlie del Divino Zelo.

«I sacerdoti non vanno mai in pensione. – conclude don Cataldo con una vena appagata nella voce – Alla veneranda età di 75 anni continuo ad essere presente in Chiesa Matrice ogni mattina e quando si presenta la necessità di celebrare messa, affiancando nel suo ministero don Peppino».

«Ma davvero scriverai tutte queste cose?» mi chiede alla fine. Gli rispondo con un’altra domanda: «Ha dubbi?».

venerdì 20 Gennaio 2023

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