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I resi gratuiti dello shopping online hanno i giorni contati?

I resi gratuiti dello shopping online hanno i giorni contati?
Dopo anni di acquisti compulsivi, dettati talvolta dalla possibilità di reso gratuito offerto dai siti web, negli ultimi tempi sembra che si vada in una diversa direzione
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Dopo anni di acquisti compulsivi, dettati talvolta dalla possibilità di reso gratuito offerto dai siti web, negli ultimi tempi sembra che si vada in una diversa direzione. Le nuove policy delle aziende infatti, pur fatto salvo il diritto a recedere previsto dalla legge, vogliono mettere un serio freno allo shopping impulsivo, togliendo la possibilità di fare il reso gratuitamente, che oggi è sempre possibile ma dietro il pagamento delle spese di spedizione.
Questo serve anche a tutelare le aziende stesse, per le quali il reso è sempre un costo, in termini di spese vive e di tempo dedicato. Il prodotto restituito deve essere rispedito con ulteriori costi di spedizione, controllato dagli operatori per verificare che non sia danneggiato e poi eventualmente rimesso in vendita; gli uffici intanto devono gestire la documentazione e il riaccredito.
Tutto ciò, alla luce dei siti vendita online più frequentati, riguarda centinaia di prodotti ogni giorno, divenendo una perdita di denaro. Ovviamente non accadrà mai che venga eliminata la possibilità di restituzione di un articolo, in quanto costituisce un diritto dell’acquirente garantito dalla legge anche per gli acquisti online. Anzi soprattutto per gli acquisti a distanza, dato che ciò che più spesso porta a restituire un articolo è il fatto che sia diverso dalle aspettative o dalle descrizioni; comprare un articolo online è in effetti molto diverso da acquistarlo in negozi fisici.
Resi gratuiti: è davvero finita?
Alcune aziende hanno già eliminato la possibilità di rendere gratuitamente gli articoli. Tra i più famosi e frequentati siti online abbiamo Zara e Uniqlo, che hanno introdotto una tassa da pagare se si vuole restituire l’articolo. In Inghilterra, il costo è di circa 2 sterline mentre in Italia è di 4,95 euro. Tuttavia, nei negozi l’articolo può essere restituito gratuitamente, anche se ciò risulta più scomodo per il cliente, perché deve spostarsi nella sede più vicina durante gli orari di apertura.
Zara e Uniqlo non sono tuttavia gli unici ad aver fatto questa scelta. Anche Asos, noto e-commerce che ospita migliaia di marchi di moda, accessori e makeup, all’estero ha mantenuto la possibilità di rendere gli articoli ma con una tassa sul reso. Questo perché molti siti permettono di incaricare il corriere a riprendere direttamente il pacco a casa, senza che il cliente debba muoversi. Una comodità che però implica ulteriore tempo investito, e soprattutto altri costi di consegne. Un esempio di resi di questo tipo è Zalando, o anche Amazon, entrambi famosissimi anche per le politiche di reso molto convenienti. Altre aziende invece decidono di fare rispedire il pacco ad un punto di consegna affiliato, come ad esempio il servizio di poste italiane.
Costi reali del reso
Il gran numero di resi effettuati dai consumatori dimostra che molti non hanno idea di quanta perdita di tempo e denaro si celi dietro questa pratica. Infatti i costi riguardano l’imballaggio, i dipendenti che hanno il compito di verificare i prodotti che tornano indietro, il trasporto ed eventualmente l’utilizzo di ulteriori macchinari. Il reso è infatti simile ad una spedizione, pertanto è necessario che funzioni tutto correttamente. Non si tratta solo di organizzare la logistica, ma anche gli aspetti interni e amministrativi, con il servizio clienti e la restituzione del denaro all’acquirente non appena si saranno verificate le condizioni del prodotto.
La quantità di prodotti resi, per ecommerce con alti volumi di scambio può arrivare a diverse decine se non centinaia di unità al giorno; si tratta di un vero e proprio settore a parte dell’azienda, che se non perfettamente organizzato mette a rischio tutto il sistema.
Secondo una ricerca recente, l’86 per cento degli acquirenti restituisce l’articolo se non è soddisfatto. Un numero altissimo, di circa 8 acquirenti su 10. È chiaro quindi che questi dati sono indice anche di scarsa consapevolezza dei compratori, attirati dai resi gratuiti per la possibilità di provare innumerevoli prodotti. Valutando concretamente le perdite di denaro da parte delle aziende, per ogni reso gratuito un rivenditore perde circa 12,50 euro. I costi extra riguardano soprattutto il trasporto, necessario per far tornare il prodotto al magazzino, e l’imballaggio, poiché un prodotto reso viene imballato a vuoto. Causando oltretutto un impatto ambientale notevole con carta e plastica inutilmente sprecati come rifiuto.
Questione ambientale
L’imposizione di tasse sulla restituzione ha quindi una motivazione precisa. I numeri di resi effettuati sono tantissimi, aumentati a dismisura anche a causa della pandemia che ha aumentato l’abitudine all’acquisto di prodotti online. Numerosi consumatori infatti, sapendo del reso gratuito, acquistavano articoli di taglie diverse, colori diversi, modelli diversi semplicemente per provarli, altri addirittura solo per scattare delle foto. Le aziende hanno quindi deciso di limitare questo eccesso diventato insostenibile.
Spesso poi gli articoli restituiti vengono cestinati dalle aziende, in quanto non risulta più conveniente rivenderli, soprattutto in caso di valori irrisori. Un prodotto dal costo sui 2 o 3 euro verrà probabilmente eliminato, in quanto può essere stato anche solo graffiato nel trasporto o rovinato da chi lo ha restituito. Anche in questo caso, si produce un aumento della quantità di rifiuti che si immette nell’ambiente.
Alla luce di quanto emerso, è sempre più importante conoscere bene ciò che si vuole acquistare, ed il modo migliore per farlo è andare su siti specializzati nello shopping online, che pubblicano prove, test e recensioni dei prodotti, come il sito Migliori Offerte Online.info oppure il portale di Altroconsumo.
Anche l’ulteriore imballaggio e l’utilizzo di altri sacchetti per la rivendita produce un grave danno per l’ambiente. Per non parlare del trasporto ulteriore o della necessaria riproduzione del prodotto, con l’ulteriore utilizzo di macchinari e materiali. Si tratta quindi anche di una questione ambientale a tutti gli effetti, sicuramente da non sottovalutare.
Imporre quindi un contributo per la restituzione è una strategia utilizzata dalle aziende anche per la salvaguardia ambientale. Sapendo di dover pagare a posteriori, è più probabile che non ci si lasci prendere dall’acquisto d’impulso e si agisca con acquisti più oculati. Si valuterà bene il prodotto, sì confronteranno prezzi e offerte e si opterà per una scelta più meditata, in modo che il prodotto non sia restituito perché non in linea con ciò che si desiderava.

lunedì 9 Gennaio 2023

(modifica il 12 Gennaio 2023, 20:15)

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