Il sogno di un’Ilva sostenibile, l’idea di un visionario che ha scelto, con la sua pellicola, di dare un messaggio di rinascita, in nome del rispetto dell’ambiente. Nico Capogna, talentuoso regista coratino, da sempre è testimone di una cultura di rispetto per l’ambiente. Con gli occhi del regista ha pensato all’Ilva di Taranto, il più grande stabilimento siderurgico d’Europa, in una prospettiva orientata nel futuro.
Quello che era il grande sogno industriale si è rivelato un grave problema sociale, economico ed ecologico che ha reso Taranto una città nella quale grandi e piccoli si ammalano di gravi patologie a causa dell’irrespirabile concentrazione di metalli pesanti nell’aria.
“Milva”, questo il nome del suo lavoro cinematografico, è un documentario ambientato nel futuro, nel 2040. Qui Nico Capogna vede trasformata la più grande acciaieria d’Europa in un immenso laboratorio per la lavorazione della canapa. Un mockumentary costato 3 anni di certosino lavoro e che è stato premiato alla XXIII edizione del Festival del Cinema Europeo, ottenendo la menzione speciale di CinecittàNews.
La produzione si è conclusa a fine dicembre del 2021, attualmente l’opera è stata selezionata al “Festival del Cinema Europeo” – menzione speciale Cinecittà news, ed è in concorso al Cortodino Film Fest e al Festival del Cinema di Salerno.
Come nasce il progetto Milva e quali erano i suoi obiettivi?
Milva è un mockumentary che fa finta di essere un documentario dal futuro.
Il mockumentary (almeno in questo caso) è una forma di docufiction molto particolare in quanto permette di utilizzare la forma del documentario per narrare cose (palesemente) finte per vere, nonché di “farcirlo” di fatti e avvenimenti veri, così da poter avere una dialettica particolarmente critica con quella che è la realtà. In questo futuro prossimo l’Ilva di Taranto è diventato uno stabilimento di lavorazione della canapa. Gli stabili non utili a questo scopo, perchè troppi o perchè troppo grossi furono rimodulati come polo museale: il simbolo degli errori che non si devono più commettere.
Da qui il nome MILVA: Museo ILVA
Il fine del video è quello di voler far riflettere sull’economia e il liberismo, sul petrolio, sulla disinformazione che è stata fatta riguardo alla canapa (e alla Marijuana), e non per ultimo, denunciare gli scempi dell’Ilva. Il tutto però visto sotto un’ottica “positiva”.
Non c’è denuncia, perchè vediamo il tutto già proiettato nel futuro.
Non ci sono riferimenti troppo contingenti alle realtà politiche e/o economiche di adesso, non è quello il fine, non si vuole fare un prodotto alla “report”, ma più che altro si è voluto fare un film che faccia riflettere e soprattutto sognare.
Il mondo che racconta, in cui la canapa potrà da un lato bonificare il siderurgico e dall’altro innescare un’economia verde, è un mondo possibile o solo ipotizzabile?
La canapa ha importanti proprietà di fitorisanamento del terreno, questo, è un dato di fatto, è da considerare che è stata utilizzata per la bonifica nei territori di Chernobyl.
La stessa idea mi venne in mente da un articolo letto a fine 2015 dove l’Associazione Canapuglia di Conversano (primo gruppo procannabis pugliese, adesso molto affermato) avrebbe attivato a febbraio 2016 un progetto che prevedeva la coltivazione di canapa intorno all’Ilva.
Il progetto partì dalla masseria di Vincenzo Fornaro, il quale qualche anno prima fu costretto a macellare gli animali con cui faceva produzioni alimentari perché affetti da diossina.
Il tema quindi è molto caldo. Io per primo credo che le nostre realtà produttive, a partire da quelle più inquinanti come l’ex Italsider di Taranto, debbano prima di tutto ridefinirsi dando priorità alla sostenibilità ambientale dei processi, piuttosto che al mero guadagno economico.
Il mondo, è un dato di fatto, sta collassando, dovremmo prenderne atto tutti, il prima possibile.
Che ruolo ha giocato la politica nello sviluppo del progetto. Ha avuto riscontri dai politici pugliesi? Quale posizione hanno preso?
Anche se può sembrare strano, per adesso la parte politica, quando è stata interessata, ha visto e recepito il progetto con forte interesse. Il punto è che si sta parlando di un documentario. Come sempre, potrebbe essere preso come uno specchio per le allodole o la scusa di una promessa.
Mi spiace dirlo, ma sono molto amareggiato, quando si parla di logiche ambientali che vanno contro le logiche economiche, tutto si immobilizza, e quello che rimane nell’aria sono solo tante parole, tante promesse, e tanti obiettivi che non si raggiungono e tante promesse. Greta Thunberg docet.
Perché crede sia così difficile trovare una soluzione per l’ILVA?
Non sono un politico (per fortuna) e non ambisco a farlo, quindi sono estraneo dalle logiche e dagli interessi economici e produttivi che possono esserci dietro alla più grande acciaieria d’Europa.
Non voglio neanche immaginare a che livello di inciuci e accordi internazionali siano arrivati dopo 60 anni di storia di questa fabbrica. Il problema non sono i progetti di riconversione e le alternative, ce ne sono tantissime. Il problema sono gli accordi miliardari, quelli sono difficili da bonificare.
Credo che un politico che abbia fatto carriera e poi sia uscito dal giro possa essere l’unico a poter dire “Ho visto cose che voi umani non potreste mai immaginare” come diceva l’androide che aveva viaggiato nello spazio nel film di Blade Runner.
È brutto dirlo, ma viviamo in un sistema economico, tutto il resto è accessorio o solo di facciata. Spero col cuore che questo trend, per il benessere e il futuro dei miei figli, possa un giorno cambiare, con fatti e azioni, reali.
Che cosa le hanno insegnato i cittadini di Taranto che ha intervistato per il documentario?
Una delle cose che ho scoperto con tanto interesse nel realizzare questo progetto è stata la scarsa correlazione tra il lavoro dei tarantini e questa grande industria. Prima di cominciare le riprese davo per scontato che molti tarantini non volessero la chiusura (o riconversione) dell’ex Ilva per motivi collegati al lavoro.
La verità è che oggi, fra cassa integrati, tagli vari e assunzioni fuori area, sono rimasti veramente in pochi i tarantini che lavorano nell’azienda. Questo tipo di ragionamento aveva un senso qualche decennio fa.
Quindi sono stato colpito da quanti movimenti, quanta passione, quanta rabbia e tristezza permea il tessuto sociale di Taranto. Stanno riducendo a un colabrodo un territorio fantastico, con un mare che sarebbe bellissimo, Taranto è una città piena di fascino e di storia, e con profonde (e buonissime) tradizioni culinarie.
È stato quindi illuminante vedere tanta consapevolezza nei tarantini, con l’idea che questo mostro economico e inquinante non lo vuole più nessuno. Tutti sono consapevoli, oggi, che la loro terra possa offrire molto di più, qualcosa di molto più unico che di una fabbrica posizionata lì decenni fa.
Fu costruita a Taranto con l’intento di contrastare una (presunta) antica povertà. Una povertà che per lo meno doveva adeguarsi al boom economico: cioè far diventare gli agricoltori operai così da avere potere di acquisto per farli alla fine diventare prodotti, cioè consumatori.