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“Cara Vincenza…”: la lettera che Domenico Leone non ha mai potuto scrivere prima di morire

La Redazione
Domenico Leone
Domenica 25 aprile, nell'ambito del primo Festival della liberazione, verrà installa una pietra d'inciampo in memoria di Leone
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Una lettera struggente, anche se in realtà non è mai stata scritta per davvero. Almeno fino ad oggi, quando la socia dell'Anpi di Corato, Adriana Latti, ha trovato le parole per mettere nero su bianco ciò che Domenico Leone – coratino ucciso dai nazisti nel 1943 – avrebbe scritto a sua moglie Vincenza prima di morire. Domenica 25 aprile, nell'ambito del primo Festival della liberazione, in memoria di Leone verrà installa una pietra d'inciampo dinanzi al Comune.

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«Quando abbiamo incontrato Domenico Scavo, nipote diretto di Domenico Leone a cui Anpi Corato ha deciso di dedicare la prima pietra d’inciampo in città – racconta il comitato direttivo Anpi Corato "Maria Diaferia" –  Adriana Latti, nostra giovanissima socia, era con noi. Le sue domande e i suoi giovani occhi pieni di passione non ci hanno lasciato dubbi. Abbiamo chiesto proprio a lei, Adriana, di trasformare le parole soffocate dall’emozione e i pochi documenti storici in possesso del nipote, in un “racconto emozionale” della vita – e della morte – di questo nostro concittadino di cui abbiamo sentito il dovere di ritrovare la memoria. Da parte nostra abbiamo accolto di buon grado la libera scelta narrativa di Adriana, che ha voluto usare il genere epistolare per far parlare Domenico con “la sua Vincenza”, prestandogli le parole che lui non ha avuto modo di rivolgerle prima di morire, assassinato dai nazisti l’11 settembre 1943. 

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Affidiamo questa lettera a tutti i Coratini contemporanei, provando a restituire alla città la memoria di quest’uomo semplice ma valoroso, che ha scelto di seguire con spirito di abnegazione il proprio dovere morale di proteggere Corato senza fuggire di fronte al pericolo e affrontando la morte per il bene di tutti. Ci sembra un doveroso riconoscimento di amore per la propria terra, una speranza per la nostra comunità e soprattutto per questa famiglia rimasta prematuramente senza un padre, solo perché lui, Domenico, ha scelto di combattere invece di girarsi di spalle e andar via. Questo è il messaggio più autentico che vogliamo lasciare ai nostri contemporanei. Essere Partigiani significa prendere Parte, e Domenico ci ha insegnato che tutti possiamo farlo, tutti noi possiamo e dobbiamo scegliere di stare dalla Parte giusta».

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La lettera

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"Cara Vincenza Mia, 
nho aspettato tanto per scriverti queste righe, tanti anni ci ho messo per avere diritto a quello che mi era dovuto: la memoria collettiva.  Non c’è stato giorno che io non pensassi a te e alle nostre due figliole; Domenica non l’ho nemmeno presa tra le braccia, eppure me lo ricordo ancora bene il tuo pancione e tuttala paura, che non ci siamo mai raccontati, di non farcela con la seconda bimba: un po’ per i soldi, un po’ per la guerra. Che meraviglia sentire che le hai dato il nome mio. Ho avvertito nella pancia quella sensazione di quando non abbiamo avuto da mangiare, ma questa volta mi piaceva. 

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Sei stata moglie fedele e attenta, la migliore madre che le nostre figlie potessero avere.  Chissà quanto hai faticato nel  crescerle senza di me, ma tu sei stata forte e coraggiosa, in questo eravamo così simili e mai smetterò di ringraziarti.  Quanto sono stato orgoglioso di te quando ho saputo del tuo lavoro come bidella presso la scuola“Fornelli”: non ti sei mai data per vinta e hai fatto da padre e madre, quanto sono fiero di te. La voglia di abbracciarti mi mangia, Vincenza mia, anche se non te l’ho detto mai, anche se so che sei arrabbiata. Proprio per questa rabbia, di cui voglio liberarti, decido di scriverti perché hai diritto di sapere, non ti ho parlato mai. 

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Voglio spiegarti bene quella giornata, voglio spiegarti cosa prova un militante che, di fronte alla morte, si scopre solo uomo: carne e ossa.  L’11 settembre 1943 eravamo a Corato e 8 soldati tedeschi erano giunti con una macchina in piazza Municipio. Non capivo bene cosa dicessero. Tu sai che per me l’italiano è già una lingua difficile. Cosa può saperne un bracciante di paroloni tedeschi? I nemici cercarono di impossessarsi dell’autocorriera che prestava servizio Corato-Trani e io quel giorno ero solo un militare convalescente. Avrei potuto guardare quello che succedeva, ma il mio spirito di uomo libero e di italiano, mi ha detto altro. 
nAll’improvviso la parte tedesca iniziò a sparare raffiche di mitragliatrice e di pistola mitragliatrice. Il solo rumore mi è bastato per capire che avrei perso la vita in quel conflitto. Ma il cuore mi diceva rimani! E sono rimasto. Io Domenico Leone, ho volutamente prestato aiuto all’Arma. Non potevo restarmene nascosto in caserma, non sarebbe bastata una vita per perdonarmelo; così decisi di dare la mia.  Dovetti e volli farlo. 

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Come avrei potuto restare a guardare immobile i miei compagni, quegli uomini morirmi di fronte? Non avrei dovuto? Come avrei passato il resto dei miei giorni al fianco tuo e delle nostre figlie pensando che anche altri padri e mariti stavano perdendo e avevano perso la vita? Come avrei potuto abbracciare le mie figlie senza rimorso, pensando che anche altri bambini avrebbero sofferto la perdita del loro padre? Come avrei abbracciato te, Vincenza, sapendo che altre mogli avrebbero pianto come tu stai piangendo ora e come forse piangerai per sempre? E soprattutto come avrei potuto guardarmi ancora allo specchio, con l’animo macchiato di chi ha visto senza agire, di chi voleva giustizia ma non ha fatto nulla per ottenerla. Come avrei potuto guardare la mia Corato nelle mani del nemico? Come avreste voi potuto guardare la nostra Italia libera oggi? 

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I carabinieri di Bari, nella loro relazione, scrissero  proprio così “In tale occasione veniva ucciso il bracciante Leone Domenico di Savino e fu Tavano Maria, nato a Corato il 6 aprile 1912, che volontariamente aveva voluto prestare valido aiuto all’Arma”, voglio che tu sia fiera di me, voglio che tutti quelli che verranno lo siano e che portino viva la mia memoria affinché sia fatta giustizia e libertà sempre.  Avrei voluto continuare ad essere padre e marito, ma sarei stato prigioniero della vita stessa se avessi scelto la vita; sarei stato complice dei nemici; sarei stato un vigliacco, un codardo e non me lo sarei perdonato mai. Non sarei stato l’uomo che oggi tu ricordi stringendo, di nascosto agli occhi indiscreti, il maglione bucato che indossavo quando hanno raccolto il mio corpo morto e che hai voluto tenere. 

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Ma oggi, Vincenza mia, dobbiamo festeggiare!Oggi è un gran giorno! Oggi giustizia è stata fatta: il mio gesto e quello di tanti uomini come me sono  diventati  memoria, cambiamento per quelli che verranno, per i partigiani e le partigiane del domani. Cara moglie, non ti ho regalato spesso fiori, ma oggi… oggi tutti i papaveri rossi sono per te: questo è il fiore del partigiano, che io non sono, ma come lui son uomo e son morto per la libertà.

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La libertà mia. 
nLa libertà tua. 
nLa libertà nostra. 
nLa libera Italia.

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nAlla mia Vincenza, 
ntuo Domenico Leone. 

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Adriana Latti, convintamente socia ANPI Corato

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venerdì 23 Aprile 2021

(modifica il 3 Agosto 2022, 9:54)

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antonio musci
Antonio51
3 anni fa

Brava Adriana, complimenti