Il Giorno della Memoria

Da Grenoble ai campi di sterminio tedeschi: il sacrificio di antifascisti e partigiani coratini

Pasquale Tandoi
I luoghi della shoah
La storia dei coratini deportati e deceduti nei campi di sterminio tedeschi. Erano emigrati, antifascisti e partigiani in Francia
3 commenti 1940

Avevo già raccontato nel 3° volume di “Corato in camicia nera” la tragica sorte dei coratini Cataldo Nesta, Felice Scaringella, Cataldo D’Oria e Antonio Cialdella, antifascisti deportati e deceduti in Germania. Oggi, per il Giorno della Memoria, porto alla conoscenza dei lettori di CoratoLive.it un’altra pagina inedita della storia dei coratini. Una pagina di emigrazione, di antifascismo, di lotta per la libertà insieme ai partigiani francesi, di repressione nazista, di deportazione e di morte nei campi di sterminio tedeschi. A Buchenwald, Dachau, Mauthausen.

È noto che a partire dagli anni Venti migliaia di coratini emigrarono in Francia, a Grenoble in particolare, in assoluto la città al mondo con il più alto numero di nostri emigrati. Alla fine degli anni Venti in Francia erano arrivati oltre 3.500 coratini, a Grenoble circa duemila. Per molti, braccianti, operai e reduci disoccupati, furono le motivazioni economiche, la ricerca di un lavoro e di condizioni di vita più dignitose, a spingerli ad abbandonare la propria terra natia. Ma per altri si aggiunsero ragioni politiche: erano antifascisti che, per sfuggire alle persecuzioni dello squadrismo prima e del regime poi (come ho raccontato nel I volume di “Corato in camicia nera”), avevano fatto perdere le loro tracce emigrando clandestinamente in Francia.

Nel febbraio del 1932 la Questura di Bari diramò un dispaccio per tutti gli uffici di Polizia di frontiera con i nomi dei “sovversivi” irreperibili della provincia. Su 79 individui elencati, 34 erano coratini. Accanto ad ogni nome una sigla per indicare l’orientamento politico: A (anarchico), AF (antifascista), C (comunista), CP (comunista pericoloso), S (socialista), R (repubblicano). Il numero dei fuoriusciti della provincia aumentò, fino a varie centinaia, negli anni successivi. In un’altra informativa della Questura barese si indicava la residenza all’estero dei “sovversivi”: la maggior parte dei Coratini era a Grenoble.

La città di Grenoble, che aveva raggiunto i 100.000 abitanti, fu occupata dal novembre 1942 dagli ottomila uomini della 5ª divisione alpina italiana. Questo periodo di presenza italiana fu relativamente sicuro per la popolazione, in particolare per gli ebrei perseguitati e per gli ambienti accademici e scientifici che vedevano la città come terra di asilo. Ma l’8 settembre 1943, a seguito della firma dell’armistizio tra l’Italia e gli Alleati, i territori occupati dagli italiani furono immediatamente controllati dai tedeschi.

L’arrivo di 15.000 soldati tedeschi della Wehrmacht a Grenoble nel settembre 1943 comportò un’occupazione molto più dura e violenta. La mattina del 9 settembre si insediarono le organizzazioni repressive della Gestapo e della SD (Sicherheitsdienst), servizio di sicurezza responsabile dello spionaggio.

Ma i tedeschi che arrivarono a Grenoble nel settembre 1943 non erano più gli spavaldi invasori del giugno 1940. Nell’area alpina era fortemente temuta la presenza di decine di migliaia di giovani pronti a combattere. Grenoble era definita la capitale della “macchia”, della “maquis”, della Resistenza francese. I giovani arrivavano a Grenoble in numero crescente e si univano alle diverse “maquis” delle catene montuose circostanti. L’azione di questi gruppi armati minava profondamente il morale dei tedeschi, che reagivano con una feroce repressione.

Come l’11 novembre 1943.
Nonostante i divieti, centinaia di Grenoblois – tra cui molti giovani ed immigrati coratini – si erano radunati in strada quel giorno per commemorare la vittoria sulla Germania alla fine della prima guerra mondiale. Il loro scopo principale era quello di ricordare i combattenti del 1918, ma era anche una consapevole provocazione nei confronti dei tedeschi.

Il corteo dei circa 2000 manifestanti passò proprio sotto le finestre del quartier generale della Wehrmacht. Cantando La Marsigliese, si diressero verso il monumento ai caduti dedicato ai “diavoli blu” (Blue Devils) nel parco del Mistral. Lì giunti, ebbero appena il tempo di deporre un mazzo di fiori quando furono circondati da numerose forze tedesche, e oltre 600 di loro vennero arrestati. Le donne e ragazzi di età inferiore ai 16 anni furono rilasciati dopo poche ore, gli altri, ben 369, furono trattenuti e, dopo tre notti alla Caserme de Bonne, furono mandati al campo di transito di Compiègne e il 17 gennaio 1944 deportati in un convoglio di carri bestiame a Buchenwald. Senza acqua, senza cibo, senza servizi sanitari.

Di questi 369 giovani sotto i 30 anni deportati a Buchenwald, solo 102 tornarono vivi alla fine della guerra. In quella retata dell’11 novembre furono coinvolti parecchi immigrati coratini. Questi i nomi dei deportati e deceduti nei campi di sterminio in Germania:

Nicola Bellosguardo, padre di cinque figli, morì l’11 giugno del 1944 a Buchenwald.
Leonardo De Palma, nato a Corato il 9 settembre del 1925, antifascista, fu arrestato dalla Gestapo, deportato in Germania e deceduto a Buchenwald.
Salvatore Genovese, nato a Corato il 29 luglio del 1925, arrestato dalla Gestapo, fu deportato a Mauthausen dove morì l’11 aprile del 1944. Aveva diciannove anni.
Michele Leo, padre di tre figli, militante comunista, aveva un ruolo importante nella resistenza francese: era responsabile del settore est di Grenoble per le azioni di sabotaggio. Arrestato e deportato, morì in un campo tedesco.
Vittorio Menduni, padre di due figli, antifascista, deportato a Dachau e lì deceduto.
Michele Tavano fu arrestato dalla Gestapo in un periodo successivo, il 20 febbraio del 1944, deportato in un campo di stermino in Germania, morì due mesi dopo, il 27 aprile.

Erano campi di sterminio attraverso il lavoro. Vi erano imprigionati soprattutto gli oppositori politici. Si lavorava 12 ore al giorno soprattutto nel settore bellico. Nei pressi di Buchenwald si costruivano i missili V2. Molti morirono soprattutto di tifo. Quelli che non reggevano più il ritmo terribile di lavoro, anche per la denutrizione, erano eliminati. Altri coratini emigrati che aderirono alla maquis francese furono catturati in località diverse ma il loro destino fu identico a quello dei “grenoblini”:

Michele D’Ingeo, nato a Corato il 7 marzo 1891, fu arrestato ad Hayange (dipartimento della Mosella). Giunto a Natzweiler, il 27 giugno del 1944, fu trasferito a Dachau il 5 settembre, il 1° ottobre al sottocampo di Flossenburg-Groeditz, dove morirà il 2 marzo 1945.
Vittorio Gallo, nato a Corato il 21 settembre del 1922, venne fatto prigioniero dai nazisti a Orain, nei pressi di Digione. Deportato dapprima a Dachau, dove giunse il 26 giugno del 1944, fu trasferito Flossenburg il 21 luglio, poi a Herbsbruck ed infine al famigerato campo di Bergen Belsen, dove morirà il 10 marzo 1945.

Tra i numerosi arrestati e deportati emigrati coratini in quel tragico 11 novembre ’43 a Grenoble, scampò alla morte Michele Mazzilli, nato a Corato il 17 settembre del 1899, residente a Grenoble in quai Perrier 12. Arrestato dalla Gestapo e trattenuto per qualche mese a Compiègne, fu deportato a Buchenwald insieme agli altri il 17 gennaio del ’44. Il suo numero di matricola al campo era 41304.

Di altri coratini sopravvissuti si conoscono solo i cognomi: Diaferia, Falco, Ferrara, Lotito, Maldera, Menduni, Olivieri, Tota ed altri dal cognome incerto nella scrittura. Rimane da sottolineare come questi coratini, sacrificando la loro vita per l’affrancamento e il ritorno alla democrazia della Francia, che li aveva accolti, dimostrarono che quello della libertà è un valore assoluto, non appartiene a questo o quel popolo, non riguarda i confini di questo o quello stato, ma è un bene supremo per l’intera umanità. Per il quale è doveroso combattere.

Nel giorno della memoria, tanti coratini da non dimenticare!

lunedì 27 Gennaio 2020

(modifica il 21 Luglio 2022, 7:58)

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salvatore di gennaro
salvatore di gennaro
4 anni fa

…c'è solo un pericolo: quando la troppa libertà si trasforma in anarchia, in esaltazione dei diritti e annientamento dei doveri. Allora la gente comune arriva a desiderare un po' d'ordine, un po' di regolarità, un po' di controllo, un po' di limitazione. Ma tutto questo non si allinea più coll'ormai imperante e frainteso senso della “libertà”, con un inefficiente sistema giudiziario che spinge a trasgredire e, per chi lo desidera, a fare quasi tutto ciò che vuole. Questo è il doppio volto della libertà: sublime ideale per gli oppressi e per i coattati, alibi per coloro che, sempre in maggior numero, vogliono uscire dagli schemi. E la dimostrata incapacità, o forse l'impossibilità, per chi gestisce un'Istituzione, di saper armonizzare, bilanciare i due aspetti.

Gaetano Bucci
Gaetano Bucci
4 anni fa

Come sempre Pasquale Tandoi ci offre un nuovo ed originale contributo di storia locale magistralmente inserito nel più ampio contesto nazionale ed europeo. Il suo è certo un tassello importante nella ricostruzione storica dell'antifascismo che, per i tempi e le circostanze, si incrocia con quella delle deportazioni e degli stermini razziali dei nazisti. Dalla ricostruzione, seppure indirettamente, emerge una “posizione umana” degli italiani, anche dei fascisti, molto diversa dai nazisti ed la totale differenza tra il prima e il dopo l'8 settembre 1943. Che significa questo? Significa che le responsabilità storiche, e soprattutto “umane” sono molto diverse. Conserviamo la memoria affinché ciò che accaduto non accada mai più, ma non generalizziamo responsabilità e sensi di colpa.

un cittadino
un cittadino
4 anni fa

…per parlare con obiettività di un certo periodo storico, occorre averlo vissuto in prima persona. I libri scritti dai vincitori, hanno un valore sempre relativo…