Lo stallo continua

Guerra fredda tra sindaco e maggioranza nel deserto dell’aula. E il countdown dimissioni avanza

Vincenzo Pastore
L'aula semi deserta durante il consiglio comunale
Tatò parla di «accordi traditi», D'Introno li bolla come «scelte scellerate di poltrone». Ma non chiarisce cosa farà nelle prossime 48 ore
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Quando alle 19.30 il presidente provvisorio dell’aula consiliare, Vincenzo Labianca, annuncia lo scioglimento della seduta per la mancanza del numero legale, le agenzie di stampa nazionali battono le dichiarazioni del vicepremier Salvini: «La maggioranza non c’è più, andiamo al voto». Di sicuro il leader leghista non si riferiva a Corato ma, seppur involontariamente, confermava quella situazione speculare che lega Roma alla città.

Perché, sia a livello nazionale che a livello locale, si potrebbe tornare al voto per maggioranza assente. Magari in autunno, a ottobre, o più probabilmente la prossima primavera assieme anche alle regionali. Un incrocio affollato di appuntamenti elettorali che, forse, sta determinando anche la scadenza della (brevissima) amministrazione D’Introno.

Nuovi equilibri, nuove egemonie, nuovi scenari interni al centrodestra, da Corato viaggiando verso la capitale. Cinque consigli comunali non sono bastati a eleggere il presidente dell’aula. Non è facile districarsi in questa strada piena di ostacoli e di strategie che è diventata la politica di casa nostra negli ultimi due mesi.

Il 9 giugno Pasquale D’Introno vinceva il ballottaggio contro Claudio Amorese. Sessanta giorni dopo è a un bivio: azzerare la giunta, come richiesto palesemente da Direzione Italia in aula o confermare le dimissioni. Una terza via (ritirare le dimissioni e andare avanti) a oggi appare un salto nel buio senza alcuna base solida. La maggioranza non c’è, anche fisicamente. Il solo Filippo Tatò è presente per il partito di riferimento dell’ex senatore Perrone. Una mossa che sembra una risposta al parere favorevole del Ministero dell’Interno ad aggirare l’ostacolo dell’elezione del presidente, permettendo il prosieguo dei lavori.

Per la prima volta uno dei due contendenti, Direzione Italia, ricostruisce nomi e cognomi che sarebbero stati sul tavolo del sindaco prima della rottura, tra il 21 e il 22 luglio. «Avevamo un accordo, c’erano già gli assessori designati Pomodoro, Salerno, Sergio, Cannillo e Di Ciommo in rappresentanza delle forze di governo. La giunta non fu presentata perché aspettavamo le indicazioni di Lega e Forza Italia a completamento del quadro. Poi le inspiegabili dimissioni del sindaco che addirittura nomina una giunta tecnica tutta sua, in spregio ai patti che erano stati presi. Si azzeri tutto in rispetto degli accordi stabiliti».

Tatò esce dall’aula non prima di essersi avvicinato ai banchi dell’amministrazione, consegnando a D’Introno il documento con il discorso appena letto. Un pezzo di carta che il sindaco sventola piccato poco dopo all’aula: «Mi è stato consegnato questo foglio, onestamente non so che farmene perché la sera prima di andare a letto sto con la mia famiglia e non mi occupo di altro. Sono un uomo libero, le scelte scellerate sulle poltrone determinano la situazione attuale».

Con tono stentoreo, alzando per la prima volta il timbro vocale solitamente basso, il primo cittadino sembra voler passare alla resa dei conti. Rivendica il lavoro fatto in 50 giorni, dai progetti per il rilancio dell’occupazione giovanile agli investimenti per il campo sportivo. Scarica il nodo Tari e il bilancio Asipu sulla vecchia gestione Mazzilli, si appella al senso di responsabilità dei pochi consiglieri presenti. Alla sua destra c’è il deserto, mentre parla la maggioranza conta solo 5 consiglieri: suo fratello Giuseppe, Mastrodonato e Sannicandro per Fratelli d’Italia, Tedeschi e Testino per Idea. Porro, meloniano, è assente giustificato mentre Zitoli si unisce a Direzione Italia che diserta l’aula.

Numeri impietosi che sembrano portare solo al termine di questa agonia. Ma il sindaco mostra un piglio finora sconosciuto durante i lavori consiliari, bacchetta anche i giornalisti per alcuni giudizi personali sugli assessori che non gli sono andati giù. Non chiarisce però le ragioni di cosa davvero stia succedendo a Palazzo di città. «Dicci le motivazioni, Pasquale», mormora qualcuno a voce alta tra il massiccio pubblico presente. «Lo farò a tempo debito, il silenzio parla», replica a microfono acceso, rinviando la sua versione dei fatti a una campagna elettorale che sembra ormai prossima.

Dopo ottanta minuti di dichiarazioni e rimbalzi di responsabilità, la seduta si scioglie con sette consiglieri presenti. Le opposizioni, diverse al loro interno, sembrano viaggiare per una volta compatte negando qualsiasi scialuppa di salvataggio alla maggioranza. Escono dall’aula facendo cadere il numero legale. Ma le differenze, profonde, restano soprattutto a sinistra. De Benedittis punta l’indice contro le alleanze a suo dire male assortite che avrebbero innescato l’esplosione del centrodestra. «La città muore di coalizioni, le primarie non sono uno strumento democratico perché non regolamentate dalla legge, diventando terreno di scontro tra apparati». Chiaro riferimento all’eterna frantumazione della galassia di centrosinistra. L’ex candidato sindaco rigetta nuovamente qualsiasi ipotesi di collaborazione, «il problema non è numerico ma politico, di visione».

Paolo Loizzo non digerisce un generico riferimento a inciuci vari, rimarcando la sua diversità rispetto «alla faida del centrodestra e a un sindaco omertoso». No a stampelle varie è il coro intonato anche da Bovino, Longo e Valente. Lenoci prosegue nel filone latino già inseguito da altri (“Alea iacta est”, il dado è tratto) invitando il sindaco a recarsi in procura qualora ci fossero gli estremi per una denuncia da minacce esterne. La dialettica, complice un caldo asfissiante, si sposta sulle vacanze al mare dei consiglieri. Chi a distanza (Bovino, Lenoci ndr), chi a Bisceglie in bicicletta (De Benedittis). Richiami del governo balneare.

Un teatrino di cui la città è spettatrice forse inconsapevole e che allarga sempre più quella forbice tra eletti ed elettori. Nella grande bolla politica in cui sembra tappato il paese, l’unico tema reale affrontato sono stati gli aumenti delle tariffe Tari e l’incuria dei cespugli tra lo spartitraffico dell’extramurale. Troppo poco per una comunità che aspetta di sapere.

Se il sindaco confermerà o meno le dimissioni entro 48 ore. Se farà chiarezza, rivelando i motivi della crisi. Se sulla città incomberà lo spettro del commissario prefettizio per la mancata approvazione delle variazioni di bilancio. Se qualcuno saprà rispondere alla domanda che in molti si facevano all’uscita dal Comune dopo il consiglio. «Che succede?». Forse neanche San Cataldo lo sa.

venerdì 9 Agosto 2019

(modifica il 21 Luglio 2022, 15:38)

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salvatore di gennaro
salvatore di gennaro
4 anni fa

Un articolo che rispecchia grosso modo i miei vari interventi di commento, tranne che in un punto, che è poi quello fondamentale: laddove si parla della “comunità che aspetta di sapere”. Alla comunità, per atavica tradizione di disinteresse assoluto (siamo i pronipoti di coloro che affermavano: “con la Francia o con la Spagna, l'importante è che se magna”), non importa alcunché di ciò che le accade. Questa latitanza è alla base, lo ripeto, della sostituzione di una inconsistente democrazia da parte di una letale partitocrazia. Occorre poi diffidare assolutamente delle coalizioni, anche se ristrettissime: dopo un attimo, pur se animate dai più rosei intenti, si sfasciano inesorabilmente. Non abbiamo il senso della cooperazione e della collaborazione, che comporta rinunce al proprio “Ego”.

Mario L
Mario L
4 anni fa

Desolante vedere il consigliere Tato’ leggere il pizzino per poi andare via mi è sembrato vederlo telecomandato. Ora signor sindaco ha contro anche le persone a lei vicino anzi attaccate a lei in campagna elettorale, ma per me fa bene a dire che si sente un uomo libero però poteva esserlo anche in campagna elettorale.

nerdrum
nerdrum
4 anni fa

fastidio, nausea, disgusto e quello che ormai i coratini sentono per la politica cittadina. gli addetti ai lavori credono che “il vero” stia nelle sedi dei partiti, nei direttivi politici. travestiti, in modo da non farsi riconoscere, questi signori si facciano un giro nella città, nelle strade, nei barbieri, nelle banche, nei bar, nelle chiese… per sentire, con le loro orecchie, quello che la gente pensa di loro. ma la vergogna nn è nel loro dna.

Ricdomy
Ricdomy
4 anni fa

Staccate la spina… Non c'è battito é clinicamente morto! Il sindaco si mangerà le mani, per aver seguito i consigli di…. “secondo loro, volevano fare il salto di qualità” ma sono caduti… Il proverbio non sbaglia :chi troppo vuole, nulla stringe”. É venuta meno la serietà, correttezza e lealtà. Osservate e ascoltate bene i vari consigli e capirete. Non parlate per partito preso.. Questa volta Perrone non c'entra… La maggioranza fa bene a rigare le spalle perché è stata tradita. P. S. Volevo ricordare che sono apartitico

carlo mazzilli
carlo mazzilli
4 anni fa

non so se questa manfrina è più noiosa o disgustosa. se un briciolo di dignità è rimasto si dovrebbe adottare la pratica giapponese dell harakiri o del seppuku… ma ci vorrebbe appunto dignità… schiena dritta… non so se rendo…

salvatore di gennaro
salvatore di gennaro
4 anni fa

Ringrazio M.M. Non è difficile fare l'analisi attuale, con pochi punti fermi: la “forzata” creazione dello Stato italiano, per sole spinte ideologiche di pochi nordisti; la “forzata” trasformazione da staterelli monocratici prima, a monarchia poi, a regime democratico infine; l'incapacità di coesione, per le troppe differenze etniche e culturali esistenti fra i vari ceppi costitutivi il popolo che abita la penisola italica; la chiara e dimostrata impossibilità che da un popolo inadeguato possano uscire politici adeguati; il desiderio sempre più manifesto di distruggere l'essenza dello Stato, la sua cultura, la sua lingua, da parte dei ceppi di cui sopra, che non hanno mai sentito, in effetti, l'Italia come la loro patria, intesa invece come anarcoide e comodo contenitore assistenziale.