Politica

La più grave crisi amministrativa a Corato nel silenzio di Palazzo di città

Vincenzo Pastore
Pasquale D'Introno in consiglio comunale
Rinviati i lavori dell'assise di questa mattina. Il sindaco tace e tra i voti dell'aula spunta anche una preferenza a Totti
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Se fosse una persona sarebbe già in terapia da un bravo analista. Se fosse un film sarebbe il monologo dell’attore Rutger Hauer, scomparso negli scorsi giorni, nel film “Blade runner” (“Ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare…”). Se fosse una commedia sarebbe da teatro dell’assurdo di Samuel Beckett. Trattandosi di un ente pubblico, il comune di Corato è piombato in una vicenda grottesca, in una crisi amministrativa senza precedenti dalla quale non si riesce a intravedere la soluzione. Il sindaco è dimissionario, la giunta non è stata nominata, il presidente del Consiglio non è stato eletto. Una paralisi democratica innescata anche dal colpevole silenzio di chi sarebbe preposto a sbrogliare questa matassa: il sindaco e la sua maggioranza che ormai sembrano viaggiare su due binari paralleli.

I fatti, dunque, elencati con ordine in quest’estate coratina così anomala e inimmaginabile fino a qualche settimana fa. Dopo oltre quaranta giorni dal ballottaggio del 9 giugno, il sindaco Pasquale D’Introno è senza giunta e rassegna le dimissioni lunedì scorso, non presentandosi in aula. La sua maggioranza (Direzione Italia, Fratelli d’Italia e Idea) apprende la notizia direttamente in Consiglio e abbandona i lavori per fare chiarezza. In questi tre giorni, né dal primo cittadino, né dalle forze politiche di governo è arrivato alcun chiarimento sui reali motivi che hanno portato D’Introno al clamoroso passo indietro. Trascorrono tre giorni, tra voci di giunta tecnica e nomi tirati in ballo che dichiarano la propria estraneità a qualsiasi operazione di governo.

Mentre parte il conto alla rovescia per i 20 giorni di tempo in cui il sindaco può ritirare le dimissioni, questa mattina si torna in consiglio. Il primo cittadino siede da solo tra i banchi di un’amministrazione al momento inesistente. Dietro di lui il segretario Luigi D’Introno e il presidente facente funzione Gabriele Diaferia. La prima ora abbondante è dedicata alla presunta incompatibilità del consigliere Leonardo Miccoli (Direzione Italia, dipendente della società partecipata Asipu). La questione, sollevata dall’ex candidato sindaco Vito Bovino, viene respinta prima da Filippo Tatò (capogruppo Dir. Italia) e poi dall’aula che con 17 voti (due in più della maggioranza) conferma l’elezione del consigliere (essendo inquadrato in azienda come settimo livello, avrebbe solo funzioni organizzative – e non di potere – che salvaguarderebbero il suo diritto all’elettorato passivo).

Si passa al secondo punto all’ordine del giorno, l’elezione del presidente del Consiglio (a conferma di una comunità sempre uguale a se stessa, in questi giorni di sei anni fa si era in aula per la stessa votazione con il sindaco Bucci. E tra i candidati c’era ancora Diaferia).

L’appello di Corrado De Benedittis a un nome condiviso e trasversale cade nel vuoto. Si vota. I primi due scrutini necessitano di una maggioranza dei due terzi, il terzo di una maggioranza semplice (metà più uno). In aula sono assenti Paolo Loizzo e Claudio Amorese, dimissionario, la cui subentrante Graziella Valente parteciperà ai lavori dalla prossima seduta. Nelle prime due votazioni, quindi, la maggioranza richiesta è di 16 voti. Il candidato scelto dalle tre forze di governo, Gabriele Diaferia, racimola nove voti al primo spoglio, otto al secondo. Nel mezzo di una maggioranza che non c’è, spuntano anche i voti a Gino Perrone, Pino Roselli, Pasquale Pomodoro e persino a Francesco Totti. Le schede bianche sono 12 in entrambe le votazioni.

Alla terza elezione basta la metà più uno dei presenti, quindi 13 voti. Una maggioranza ormai a pezzi attribuisce la miseria di nove voti a Diaferia. L’opposizione, non in maniera unitaria, vira su Lenoci, a quota 5 preferenze. Le bianche sono otto.

Il segretario D’Introno sospende i lavori, tra le polemiche delle minoranze che chiedevano di poter intervenire. Il Consiglio è bloccato e senza il suo presidente non può essere operativo. Così parte un secondo countdown, di dieci giorni, entro cui convocare una nuova data. In mezzo c’è un terzo conto alla rovescia: il 31 luglio la legge prevede l’approvazione delle variazioni di bilancio. In caso negativo, il Comune sarebbe commissariato e si entrerebbe in gestione provvisoria. Una mezza catastrofe finanziaria, che si aggiungerebbe alla paralisi amministrativa già in atto.

I titoli di coda scorrono tra il silenzio (colpevole) del sindaco e della sua maggioranza, incapaci di fornire alcuna risposta alla città rispetto alla situazione in atto, e le vibranti proteste dell’opposizione che parla apertamente di “emergenza democratica”. Anche se, al suo interno, Labianca (Udc) non esclude un possibile futuro appoggio esterno all’amministrazione. Un approdo che oggi sembra più lontano che mai. Il punto è che oggi una giunta e una maggioranza non ci sono. E viste le premesse, se anche si dovesse trovare la quadra, c’è da chiedersi quanto durerà e a quali costi per il paese.

giovedì 25 Luglio 2019

(modifica il 21 Luglio 2022, 16:14)

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