“Cent’anni di solitudine” di Gabriel G. Marquez

Luciana De Palma
Le vicende magicamente incredibili della lunga discendenza della famiglia Buendìa.
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A dispetto della parola ‘solitudine’ citata nel titolo questo romanzo è talmente ricco di personaggi da lasciarci con l’idea che il mondo stesso, tutto intero, sia finito per magia sulle sue pagine.

La storia narra della famiglia Buendìa e delle sette generazioni successive che vivono, amano, lottano, ridono, giocano, muoiono nel paese di Macondo. Dapprima incontriamo il fondatore di questo straordinario posto, José Arcadio Buendìa, che insieme a sua moglie, e cugina di primo grado, Ursula Iguaràn, lascia il vecchio paese per cercare una vita migliore. Durante il viaggio il capostipite Josè sogna una città fatta di specchi in cui il mondo si riflette: sarà la futura Macondo. Destatosi, decide, con ardore e fermezza, di fondare, proprio lì dove si era accampato a dormire, lungo il fiume le cui sponde l’hanno profondamente ispirato, il paese in cui per cent’anni si snoderanno le magiche e mirabili vicende della sua famiglia e di ciascuno dei suoi discendenti.

Di carattere mite, ma ugualmente tenace, sua moglie Ursula, benché sposa devota e fedele, si rifiuta per nove mesi di consumare il matrimonio, ricordando con orrore e paura il racconto di sua zia che, sposando un cugino di primo grado, aveva generato un figlio con la coda di maiale. Per tutti gli anni a venire ogni donna ed ogni uomo della famiglia dovranno fare i conti con questo sconvolgente terrore ed ogni volta che verrà alla luce un nuovo discendente della famiglia l’angoscia di mettere al mondo un bambino con la coda di maiale si ripresenterà con tutto il suo carico di paure.

Intanto la storia prosegue, avvicendandosi le generazioni e le vicende: sentiamo che ogni sospiro, ogni parola, ogni gesto compiuto dai numerosissimi personaggi del romanzo deriva da una forza vitale dirompente e incontrollata, come se l’espressione della vita non possa che plasmarsi in una gigantesca onda che parte da lontano e trascina con sé le profondità abissali degli oceani, le furiose tempeste dell’universo, le roboanti sferzate dei venti, le maestose tinte dei colori più accesi ed infine i suoni più acuti e assordanti. Il vortice dei nomi, delle voci, dei movimenti, dei pensieri, delle fughe, dei ritorni, delle partenze, dei sogni, delle guerre travolge il lettore, togliendogli il fiato, come se la sua anima si fosse tramutata in una pietra che, lanciata giù dalla vetta di una montagna, dopo aver iniziato a rotolare, non fosse più in grado di essere fermata.

Pagina dopo pagina, nome dopo nome, azione dopo azione, la lettura di questo libro è una lunga cavalcata tra le dune del deserto, le pianure verdeggianti, i monti più freddi, le valli più cupe e i sentieri più soleggiati. In questo capolavoro di intrecci fantastici e di incanti prodigiosi la demarcazione stessa tra vita e morte perde il suo significato poiché non c’è ardimento o paura che possa spingere i personaggi a sentire la vita più di quanto sentano o a temere la morte più di quanto non siano in grado di vincerla.

La magia poi sembra essere la costante che, come un velo sottile, impalpabile, eppure resistente, avvolge le cose, i luoghi, le case, le vite di tutti: accadono avvenimenti improbabili, catastrofi assurde, si succedono circostanze grandiose ed episodi tanto solenni quanto singolari. Si mescolano credenze e verità scientifiche, superstizioni e ragionevoli predizioni, illusioni dolcissime e disinganni tragici, tutto senza mai che si avvertano interruzioni brusche o forzate nell’andamento fluido e morbido dei giorni, dei mesi, degli anni.

La realtà e l’irrealtà non giocano mai parallelamente, non sono due facce della stessa medaglia che, volteggiando in aria, mostri ora l’una ora l’altra, ma convivono perfettamente, veleggiando sullo stesso piano come la prua e la poppa di una medesima barca. Il tempo, nel lungo racconto dei Buendìa, sembra, nonostante tutto, non progredire, non scorrere, quasi che la ripetizione delle vicende porti i personaggi a fissarsi sempre più in profondità in una situazione di contingenze tangibili e di chimere nebbiose, rendendo l’intera vicenda una questione di circolarità piuttosto che di successione vera e propria. Sembra qui mancare il controllo sulla propria vita, sul proprio destino, trasportati da un vento di bufera che fa cozzare e scontrare i personaggi nei modi più misteriosi e oscuri.

Eppure più si prosegue nella lettura e più si percepisce la sensazione di un universo che, respirando senza posa, si espande e si consuma a dismisura, contenendo sempre più vite e ancora più tempeste. La narrazione continua, implacabile nella sua implacabile resa storica di ogni singolo accadimento, tra peripezie incredibili e casi invincibilmente affascinanti. Fino all’esito finale, alla sconcertante conclusione, all’apogeo a cui siamo arrivati con premura e foga, chiedendoci: l’ultimo discendente dei Buendìa nascerà con la coda?. “La vita le si esauriva nel ricamo del sudario. Si sarebbe detto che ricamava durante il giorno per disfare il lavoro di notte, e non con la speranza di sconfiggere in quel modo la solitudine, ma tutto al contrario, per sostenerla”.

giovedì 13 Marzo 2014

(modifica il 3 Febbraio 2023, 12:31)

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