Politica

Gherardo Colombo ai giovani: «Rispettare le regole non per obbedienza, ma per volontà»

Vincenzo Pastore
Gherardo Colombo con i Giovani Democratici
Ieri sera l'incontro dei Giovani Democratici di Corato con l'ex magistrato Gherardo Colombo presso una sala gremita del Cinema Elia
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Rifare la politica partendo dal rapporto tra regole e cittadini. E’ il pensiero dei Giovani Democratici di Corato, promotori assieme al Partito Democratico dell’incontro svoltosi ieri sera con l’ex magistrato Gherardo Colombo presso una sala gremita del Cinema Elia.

«Siamo choosy, siamo ambiziosi nel voler rifare la politica italiana» esordisce con una punta di sarcasmo Francesco Marcone, segretario dei Giovani Democratici di Corato, in riferimento alle affermazioni del ministro Fornero qualche giorno fa. Se i giovani vogliono ripartire dalla legalità, i grandi del Pd fanno mea culpa: «Come generazione abbiamo fallito, ai ragazzi chiedo coraggio e generosità» ammette Luigi Gagliardi, segretario del Pd Corato.

Gherardo Colombo, ex magistrato conosciuto al grande pubblico per l’inchiesta col pool di Mani Pulite nel 1992, negli ultimi anni ha abbandonato la toga per dedicarsi all’educazione alla legalità, con incontri frequenti soprattutto nelle scuole.

Moderata dagli interventi di Savino Tatoli, dei Giovani Democratici di Corato, la serata scorre lungo un dialogo continuo tra Colombo e i presenti, con vivaci scambi trasversali di opinione.

«Il punto di partenza è il nostro modo di pensare, la nostra cultura, le regole vengono poi di conseguenza» esorta più volte l’ex magistrato.

«Non osservo le regole perché devo ma perché voglio»: far propria la legalità non come mera obbedienza alle norme vigenti ma come condivisione della regola nel proprio sistema di valori. Ne è fermamente convinto Gherardo Colombo che ricorda il codice della strada a titolo esemplificativo.

Quando le regole vengono rispettate solo coattivamente si ha come risultato un Paese basato su squilibri sociali: «La nostra è una società discriminatoria, in cui dominano relazioni di supremazia e sudditanza» la sua opinione. Un modello gerarchico che ha investito in passato i rapporti tra uomo e donna e oggi quelli tra i partiti e i cittadini.

«In una società verticale basata sulla discriminazione l’educazione ha come scopo l’obbedienza. Ma in una società basata sulle pari opportunità l’educazione ha come scopo la capacità di essere liberi e autonomi attraverso il discernimento delle cose».

Ne segue un excursus letterario su “Il grande inquisitore di Dostoevskij” ma Colombo non può sottrarsi dal flashback più celebre della sua carriera in magistratura, quello degli anni di Tangentopoli: «Mani pulite non ha sostanzialmente influito sul pensare comune» confessa.

«Se avesse influito non avremmo la situazione che oggi stiamo vivendo. Durante la stagione di Mani Pulite abbiamo ricevuto grande entusiasmo all’inizio, quando i destinatari delle nostre indagini erano persone in cui era difficile identificarsi (sindaci, onorevoli e simili). Ma nel momento in cui le prove ci hanno portato verso persone comuni (vigili, finanzieri) i cittadini si sono tirati indietro perché l’inchiesta entrava nella loro vita quotidiana» continua riconoscendo i limiti dell’inchiesta del Pool di Milano.

Nel 2007 Gherardo Colombo lascia la magistratura perché «pensavo bastasse scoprire le cose per indignare le persone ma non è stato così». Da allora si dedica alla promozione nella legalità nelle scuole, lì dove si continuerebbe a imporre un modello gerarchico tra professori e alunni a detta dell’ex magistrato. Non mancano le bacchettate rivolte al modus operandi dei docenti.

«Io posso e tu non puoi, sembra essere questo il messaggio tra insegnanti e studenti. I primi possono tranquillamente lasciare ad esempio acceso il cellulare o arrivare in ritardo, i secondi no e se lo fanno pagano per questo. I professori dovrebbero avere una visione meno gerarchica della scuola» esclama ipotizzando l’uso di un “tu” reciproco tra professori e ragazzi. Una posizione che suscita reazioni variegate tra i tanti insegnanti in sala.

Oggettivare il soggettivo: un errore in cui si ricadrebbe quando “facciamo della nostra esperienza un qualcosa di universale”.

Un ulteriore tallone d’Achille è quello derivante dalla mancata conoscenza della Costituzione: «Quanti di voi hanno letto o conoscono la Costituzione?» chiede polemicamente Colombo. Poche le mani che si sollevano. «Com’è possibile non avere l’esigenza di conoscere le regole dello stare insieme? Com’è possibile che il testo costituzionale non sia un libro obbligatorio a scuola?».

Non tardano ad arrivare le repliche dei docenti presenti, concordi con la necessità di riscoprire la Carta Costituzionale tra i banchi di scuola.

Capitolo finale riservato alle relazioni tra potere e cittadinanza. «Viviamo un rapporto di sudditanza con le istituzioni, abbiamo collaborato un po’ tutti allo scenario di ogni giorno». L’ex magistrato stigmatizza l’indifferenza e il lassismo soprattutto perché “nel corso della storia non c’è stato un popolo che ha avuto più potere del nostro».

Ed è nell’impegno personale di ciascuno che Gherardo Colombo individua la strada per rendere di fatto l’Italia una Repubblica democratica, così come richiamato dall’art.1 della Costituzione.

venerdì 26 Ottobre 2012

(modifica il 26 Luglio 2022, 15:30)

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