L’estate del ‘74 – Quattordicesima puntata

Dino Patruno
“Dobbiamo avvisare i genitori”. Disse la nonna chiudendo la porta della stanza di Paolo. Il nonno scosse la testa. “A parte il...
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“Dobbiamo avvisare i genitori”. Disse la nonna chiudendo la porta della stanza di Paolo.

Il nonno scosse la testa. “A parte il fatto che non sappiamo neanche dove andarli a cercare … Nostro figlio ha detto che si faceva sentire lui. L’hai sentito tu da quando se n’è andato? Quella poi …. Lasciamola perdere, che è meglio”.
Si incamminarono lentamente verso la cucina.

“Aspettiamo che si svegli e ci spieghi cosa è accaduto. L’importante è che adesso sia qui con noi”. Cercò di rasserenarla il nonno.

“San Cataldo ci deve aiutare”. Sospirò la nonna. Entrò in cucina seguita dal marito e subito si mise a sfaccendare. Era quasi ora di cena. Il nonno rimase pensieroso sulla porta.

“ E se chiamassimo il dottore? Quello viene anche di domenica se lo chiamiamo noi”. Azzardò la nonna. “Per essere sicuri che stia bene. E per capire perché gli è preso questo strano sonno”.

“Non c’è bisogno di scomodare il dottore. Fidati. Credo di aver capito cosa può essere successo”. Il marito si mosse verso la credenza. Guardò all’interno cercando la bottiglia che aveva donato al nipote. Naturalmente non c’era.

“E’ stata anche colpa mia. Domattina gli sarà passata. Vedrai”. Concluse sorridendo il nonno.

Al secondo piano, anche Grazia, intanto, stava preparando la cena al padre. Era ancora molto agitata. Continuava a pensare a quel ragazzino. Solo qualche minuto prima, lei e Vito lo avevano lasciato dietro la porta di casa dei suoi nonni. Vito aveva bussato insistentemente e poi era schizzato via lungo le scale. Quando il nonno di Paolo aveva aperto e aveva trovato Paolo completamente abbandonato per terra, lui era già lontano e Grazia era già rientrata in casa.

No. Non temeva di poter essere scoperta per quello che avevano fatto e visto. Si accorse di essere preoccupata per la sorte di quel ragazzino. Vito poi l’aveva meravigliata per la reazione che aveva avuto quando era arrivato sul cortile. Dopo un primo momento di sorpresa aveva detto che quel ragazzino lui lo conosceva già. Anzi, che praticamente da qualche giorno gli stava sempre tra i piedi. E che dietro quella faccia da “catamaune”, si celava comunque uno che sapeva il fatto suo. Uno con le palle. Uno capace di tirarlo fuori da una brutta situazione e di tener testa a Ciccillo, mica l’ultimo arrivato in fatto di risse. Grazia avvertì con molto stupore dell’ammirazione di Vito per quello sconosciuto.

A quel punto lei lo aveva supplicato che non potevano lasciarlo lì. Doveva sentirsi molto male per non riprendersi ancora. Forse dovevano portarlo in ospedale. Ma Vito aveva subito ribattuto che portarlo in ospedale voleva dire che avrebbero dovuto rispondere ad un sacco di domande. Non potevano rischiare. Non in quel momento. Allora forse dovevano accompagnarlo dai suoi, al primo piano. Azzardò lei.

Ma Vito l’aveva zittita con un gesto di impazienza. In quel momento il ragazzo aveva cominciato a biascicare qualche parola. Allora, gli si erano avvicinati per cercare di afferrare quelle sillabe sconnesse. Dopo i primi incomprensibili suoni, distinsero nettamente le parole “mamma” e “casa”. Poi dopo una specie di lamentoso pianto la parola “Milano” fu ripetuta più volte insieme alla parola “partire”.

Vito allora si era inginocchiato vicino al ragazzo e aveva iniziato a chiamarlo per nome, Paolo si chiamava, e a fargli anche domande . Grazia non riusciva a capire a che scopo. Ma dopo qualche minuto Vito si era rialzato visibilmente soddisfatto. Anzi Grazia avrebbe giurato che fosse proprio contento. Poi le aveva detto cosa quello che avrebbero fatto nei giorni seguenti. Quel milanese lì poteva tornare loro utile.

Avevano poi atteso pazientemente che Paolo si riprendesse. Vito era sceso in piazza ed era riuscito a portare dell’acqua per cercare di rianimare il ragazzo. Paolo ad un certo punto aveva aperto gli occhi. Vito e Grazia gli avevano parlato cercando di spiegargli quello che era accaduto. Paolo sembrava ascoltare attentamente. Poi aveva loro sorriso a lungo. Poi quando avevano provato a farlo rialzare, dopo pochi passi compiuti appoggiandosi a loro, era di nuovo svenuto tra le loro braccia.

E quindi avevano convenuto che la cosa migliore da fare era lasciarlo davanti alla porta dei suoi nonni e svignarsela senza farsi notare.

“Ma quando arriva questa cena del cazzo”? Urlò dall’altra stanza il padre. “Sta per cominciare la partita. Portami il vino intanto”. Grazia si scosse dai suoi pensieri e si affrettò a versare il vino in un bicchiere.

La finale di calcio del Campionato del Mondo tra Germania ed Olanda era appena cominciata, quando nella sala giochi “Atletica Corato” fece il suo ingresso Vituccio detto “Diabolicche”.

Pasquale, più grasso che mai, ringhiò di rabbia all’ironico buonasera del ragazzino. “Guarda poppante che stasera non è aria. Vedi di andartene ….”

“Non farmi perdere tempo. Devo parlare urgentemente col capo”. Lo interruppe Vito. “Devo vedere se c’è. E se c’è devo sentire se vuole riceverti, ragazzino”. Sibilò Pasquale.

“Vedi se ti muovi “panzone” che non ho tempo da perdere. Vedrai che come dici che ci sono io, Tony mi riceverà subito".

“Rigore. Rigore per l’Olanda. Al primo minuto di gioco Cruiyff è penetrato all’interno dell’area di rigore e ha costretto l’avversario al fallo. Pensate che li giocatori tedeschi non hanno ancora toccato palla”.

Pasquale bestemmiando sottovoce si diresse verso l’ufficio di Tony in fondo alla sala. Vito si girò verso il televisore per seguire il rigore dell’Olanda.

“E’ Neeskens sul dischetto. Neeskens contro Maier”.

“Se segna – pensò Vito – vuol dire che l’Olanda vincerà e tutto andrà bene anche per me”.

“Neeskens prende la rincorsa e reteeee. L’Olanda è in vantaggio”

“Vieni pure Vito”. La voce stentorea di Tony si fece largo fra tutti i rumori della sala giochi, televisione compresa.

Vito senza tradire la minima emozione si fece largo tra i tanti avventori di quella sera ed entrò nel salotto di Tony. Anche se era la seconda volta che entrava lì dentro non riuscì a rimanere indifferente verso quello che vedeva. Un biliardo col panno rosso era posto al centro della sala. Sulla destra, troneggiava un mobile lungo con una vetrinetta sulla parte alta in cui erano riposte migliaia di bottigliette mignon di tutti i liquori possibili ed immaginabili.

Un acquario enorme con dei fantastici pesci tropicali dai colori accesi era posto sulla sinistra della stanza illuminato da un’accecante luce blu. In fondo alla sala un tavolo da gioco con almeno una decina di mazzi di carte e fiches di tutti i tipi e vicino ad esso un juke-box ultimo modello, enorme e coloratissimo. Tony era comparso all’improvviso dal fondo della sala. Si sedette su di una seggiola del tavolo da gioco ed invitò con un cenno Vito ad accomodarsi di fronte a lui. Nel frattempo aveva preso la chitarra ed aveva iniziato a strimpellare qualche nota. Era a torso nudo. Per il caldo pensò Vito. Sfoggiava solo un bluejeans molto attillato. Mentre anche i piedi erano nudi.

“Allora”? Fece Tony a Vito. “E’ arrivato il momento. Ho saputo la data”. Rispose Vito.

Tony continuò a suonare, come se quello che aveva udito fosse la notizia meno importante che avesse udito in vita sua.

“Questo maledetto accordo …. Che non …. “ E poi improvvisamente rivolto a Vito:” Ti rendi conto di quello che mi stai dicendo? Che sei sicuro della data e che quindi mi devo organizzare con i miei per preparare il colpo. Non si scherza più. Lo capisci vero”?

Vito, che solitamente non sapeva neanche dove abitasse la paura, pure avvertì dentro di sé una specie di stretta nella pancia.

“Sì. Lo so bene cosa vuol dire”. Riuscì comunque a ribattere sicuro.

Tony, ghignando, continuò a cercare il suo benedetto accordo per qualche minuto ancora, senza però riuscirci. Scaraventò allora via la chitarra che per puro miracolo non si fracassò andando a sbattere contro una porticina che in controluce Vito non aveva ancora notato e che proprio in fondo alla sala.

“E quale sarebbe questa data, allora”? Chiese con voce suadente Tony.

“Rimane sempre valido il nostro accordo …. Vero? Sennò non se ne fa niente”. Chiarì Vito.

“Puoi stare sicuro. Si fa metà per uno. Come pattuito. Fidati. E poi comunque l’hai detto tu. Per questo colpo ho bisogno per forza di te. Non potrei mai farlo da solo. Ora però dimmi questa data del cazzo e facciamola finita, prima che perda la pazienza. Ho ancora da fare stasera”. Ed indicò la porticina accarezzandosi il viso sudato con studiata lentezza.

“I soldi arriveranno il lunedì di San Cataldo” Buttò fuori d’un fiato Vito.

“Proprio spilorci fino all’ultimo, questi padroni”. Sghignazzò Tony. “Vi fanno lavorare anche i giorni di festa. Non rispettano neanche San Cataldo”. E iniziò a girare intorno al biliardo come un invasato. “E vorrà dire che San Cataldo li punirà. Per mano nostra. Sissignore. Tu ed io faremo giustizia. Puniremo questi …. Come cazzo si chiamano …."

E stava per continuare il suo sproloquio, quando si aprì la porticina in fondo alla sala e ne uscì quella che per Vito fu una vera e propria apparizione. Una ragazza di una bellezza stordente, con indosso solo un minuscolo vestitino di seta nera e con una cascata di capelli neri e mossi si affacciò d’improvviso nella stanza. E con una voce melodiosa rimproverò dolcemente Tony : “ Ehi, preferisci stare con questo giovanotto piuttosto che con me”?

Tony, per un momento sembrò innervosirsi per la sortita della ragazza. Ma poi con uno scatto la raggiunse e tirandola a sé le schioccò un bacio fortissimo, quasi violento. Quando si staccò le disse. “Vieni Patrizia. Oggi è un gran giorno. Ti presento Vito, il mio nuovo socio in affari. Vito questa è Patrizia. Una mia cara amica".

Patrizia allora con un sorriso soave si avvicinò a Vito e gli dette un bacio soffice sulla guancia.

Vito pensò che solo in paradiso, se mai fosse esistito, forse avrebbe potuto vivere una sensazione come quella. Ma non mostrò il minimo turbamento.

“ Ehi grand’uomo sciogliti un po’. Che le belle donne ci rimangono male se non mostri di gradire la loro presenza. Ho capito che Patrizia ti piace molto, anche se non lo dai a vedere. A me non mi freghi”.

“La signorina Patrizia è molto bella”. Ammise Vito.

Tony iniziò a ridere come un pazzo, mentre Patrizia arrossì.

“Ma l’hai sentito a questo qui? La signorina Patrizia è molto bella. Ti voglio promettere una cosa Vito. Se tutto andrà bene, la signorina Patrizia, come la chiami tu, sarà pure amica tua. Va bene”?
Vito assentì.

Poi molto bruscamente Tony rivolto alla ragazza:“Allora, noi ora dobbiamo lavorare. Fila dentro e non uscire più di là fino a nuovo ordine”. E così dicendo le appioppò una bella pacca sul suo generoso didietro.

Patrizia gettò un ultimo sguardo a Vito e abbozzò un sorriso che a Vito sembrò triste e poi sbuffando rientrò nella stanza da cui era uscita.

Tony, invece, intimò a Vito di aspettarlo lì e si diresse verso la sala giochi.

Vito rimase solo per qualche minuto. Si guardò intorno. Gli piaceva praticamente tutto quello che c’era là dentro. Anche lui voleva diventare come Tony per avere esattamente quelle cose. Anzi di più. Voleva diventare un grande bandito. Un gangster. Uno di quelli di cui parlano tutti. Anche sui giornali. E a Milano. Non in un paese di schifo come Corato. E avrebbe avuto solo donne belle come Patrizia. Fino a quella sera non pensava che potessero esistere veramente donne così belle.

E Grazia? Grazia lo avrebbe aspettato tranquilla a casa. Cosa c’entrava? Sì. Lei era una ragazza. Ma diversa dalle altre. Avrebbe capito che un uomo come lui doveva avere molte donne. E avrebbe portato pazienza. A proposito di donne. Non voleva certo perdere quell’occasione. Scivolò via dalla sedia e si avvicinò alla porta d’uscita del salotto. Tony era in fondo alla sala e parlottava con quel maledetto grassone di Pasquale. Ne avrebbe avuto sicuramente ancora per un po’. Allora, senza far rumore, arrivò dietro la porticina da dove era apparsa Patrizia. Si abbassò quindi al livello della serratura e sbirciò dentro.

Avvolta nella penombra, Patrizia era pigramente sdraiata su di in un lettone pieno di cuscini. Era senza il vestito che indossava prima e sembrava guardare avanti a sé, completamente assente. A causa della poca luce e di quella sua curiosa fissità sembrava una statua di preziosa porcellana immersa in una vasca piena d’acqua chiarissima. Una sirena assente, irraggiungibile, prigioniera del suo stesso sogno. Completamente rapito da quella visione, Vito si preoccupò solo di osservare con la maggiore attenzione possibile tutti i particolari di quell’insperata visione per imprimerli bene nella mente in modo da non poterli mai e poi mai dimenticarli.

Ma fu brutalmente ricondotto alla realtà da una mano pesante e sudata che gli strinse maledettamente il collo e da una sgradevole voce che gli soffiò nell’orecchio:“ Penso che Tony non sarà molto contento di sapere quello che stai facendo” .

Era quel brutto grassone di Pasquale.

venerdì 16 Aprile 2010

(modifica il 3 Febbraio 2023, 11:46)

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