Politica

Il dibattito politico continua con «il cacio sui maccheroni e il fumo senz’arrosto»

La Redazione
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Lo scorso ottobre compariva sul sito di CoratoLive.it un pezzo di analisi politica di Giacomo De Lillo intitolato “Come sta la nostra politica”.
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rn«A distanza di tempo – scrive Gaetano Bucci – vorrei replicare a quel pezzo contenente validissimi spunti di riflessione sull’evoluzione del sistema politico italiano, sulla qualità della rappresentanza politica, nonché alcune critiche al sottoscritto circa i partiti attuali e la disaffezione dei cittadini dalla vita dei partiti e dal dibattito sulla cosa pubblica.
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rnDe Lillo in quell’intervento portò nuovi e coerenti elementi a sostegno della tesi della “imprescindibilità dei partiti nella dinamica politica”. Senza i partiti non c’è politica. Infatti, egli concludeva, si finisce nel qualunquismo e nel populismo nel caso in cui essi vengano “demonizzati”, come, in qualche modo, avrebbe fatto il sottoscritto in un pezzo precedente.
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rnCondivido pienamente il fatto che i partiti politici non siano il “frutto di Satana”, e so bene che la nostra Costituzione li pone al centro della “dialettica democratica” e, nella loro pluralità, a garanzia dello stesso stato repubblicano.
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rnCondivido. Senza partiti non c’è democrazia. I sistemi totalitari e dittatoriali del Novecento si erano distinti proprio per l’assenza di partiti competitori. Il fascismo, nato dalla distruzione dello stato liberale di tipo ottocentesco, aveva realizzato uno stato a “partito unico”. L’Italia non aveva retto all’urto dello “stato” moderno fondato sul suffragio universale e sui partiti popolari o di massa. Mussolini, si ricorderà, “cavalcò” entrambe queste nuove esigenze dello stato moderno. Solo le piegò al proprio progetto dittatoriale. Infatti appena insediato al potere dichiarò di essere “allo stesso tempo maggioranza e opposizione”. Esattamente il contrario di ciò che prevede la vera dialettica democratica.
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rnI partiti sono fondamentali per la dialettica democratica. Ma essi, anche quando sono numerosi e diversi, non sono di per sé sufficienti a garantire a livello politico la “piena rappresentanza” delle molteplici e complesse componenti economiche e sociali.
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rnPerché ciò avvenga le formazioni politiche devono operare entro un sistema di regole elettorali e devono avere al loro stesso interno un sistema di regole trasparenti e democratiche. Se le regole elettorali e quelli interne sono “antidemocratiche” o non funzionano, va da sé che l’intero meccanismo su cui si fonda lo stato democratico ne viene scosso alla base e va in tilt. Non si può, infatti, avere vera democrazia senza una corretta e autentica rappresentanza degli interessi che, a sua volta, si può ottenere solo attraverso una corretta democrazia interna ai partiti e regole elettorali adeguate.
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rnGli equivoci della “seconda repubblica”
rnLa crisi dei partiti storici dell’Italia, dopo Tangentopoli e dopo la caduta del Muro di Berlino, ha costituito una gravissima disgrazia nazionale. Una disgrazia storica non ancora superata. Dal sistema “bloccato al centro”, imperniato e immobilizzato sulla Democrazia Cristiana e i partiti dell’‘arco costituzionale’, con la reciproca esclusione delle “estreme” e anche del Partito Comunista che non era antidemocratico e rappresentava all’incirca un terzo dell’elettorato, siamo trasmigrati ad un sistema cosiddetto “bipolare” o dell’alternanza.
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rnQuest’ultimo, costituzionalmente non previsto, lungi dall’essere migliore risulta, proprio in termini di “forza rappresentativa”, solo più “sbrigativo”. Più “semplificativo”, forse, ai fini della determinazione della maggioranza di governo, ma certo più esposto dal punto di vista democratico. Esso ha il vizio d’origine di essere sostanzialmente inficiato da un pessimo impianto elettorale che non fa coincidere il paese reale con quello legale.
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rnPraticamente siamo caduti dalla padella nella brace. Da un sistema bloccato al centro dalla D.C. siamo passati ad uno che consente sì l’alternanza, ma col sacrificio di colonne portanti del sistema; cioè la democrazia interna ai partiti e, soprattutto, un efficace sistema elettorale capace di sostenere ed alimentare la centralità del Parlamento secondo l’impianto previsto dalla costituzione italiana.
rnNon ho difficoltà a sostenere che da quasi vent’anni il funzionamento della repubblicana italiana è fondato su regole elettorali “simil-democratiche”. Come altro definire quelle fissate con il “Mattarellum” o la “porcata” di Calderoli?
rnI sistemi uninominali, i “premi di maggioranza”, gli abbinamenti preventivi, i cosiddetti “accordi di programma” e una certa tendenza a confondere il ruolo del potere legislativo con quello esecutivo, hanno portato ad una situazione chiaramente falsata, aberrante e poco rappresentativa della complessa realtà economico-sociale italiana. I partiti si sono trasformati in grandi comitati d’affari in cui il potere è sempre più personalizzato e gestito da ricche ed esclusive lobby di vertice. Ciò avviene sia a livello nazionale che a livello periferico.
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rnA livello nazionale ci si comporta come se vivessimo in una repubblica presidenziale. Il parlamento viene continuamente prevaricato e scavalcato, sia per il ricorso abnorme ai decreti leggi, sia per l’approvazione con “voto di fiducia” di importanti leggi. Non solo, così, la “centralità del legislativo” viene messa in discussione, ma anche la sua autonomia ne risente enormemente. La recente presa di posizione di Napolitano a difesa della “repubblica parlamentare” e delle stesse prerogative della presidenza della repubblica è l’ultimo significativo episodio dello scontro sotterraneo in atto ormai dai diversi anni, ed ulteriormente esacerbato dall’esigenza del premier Berlusconi di farsi confezionare leggi ad personam.
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rnOra, senza richiamare ulteriormente nei dettagli i cambiamenti normativi delle regole elettorali che si sono succeduti da Tangentopoli in poi, sia a livello nazionale che regionale e locale, vorrei far notare che ci sono stati dei passaggi fondamentali che sono stati sintetizzati e filtrati, questa volta sì, in modo diabolico dalla politica e che hanno portato a quella disaffezione dalla politica, che però non va confusa col qualunquismo.
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rnIl primo “fraintendimento diabolico”, il grande inganno, vorrei far osservare a Giacomo De Lillo, fu il significato dato dai partiti al risultato referendario sul finanziamento pubblico ai partiti. Allora colpevolmente si confuse il bisogno di non avere partiti corrotti con la necessità, quasi, di non averne affatto. Sotto quella spinta ingannevole comparvero i primi “partiti firmati”. Fu un errore gravissimo in quanto, da un lato, si rompeva la continuità storica con i partiti della tradizione europea ed italiana, e dall’altro, si portava, cedendola definitivamente, la titolarità della politica sotto i nomi, i simboli e le nuove bandiere di “persone-principi”, di veri e propri “boss politici” con le loro consorterie chiuse e i loro “giri d’affari e di potere”. Fino ad arrivare al recente fenomeno di malcelate compravendite di partiti.
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rnDai partiti storici ai partiti personali.
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Non c’era nessun motivo perché chiudessero bottega la Democrazia Cristiana, il Partito Democratico della Sinistra, il Partito Socialista Italiano, il Partito Socialista Democratico Italiano e così via. I corrotti di Tangentopoli dovevano andare in galera e i partiti continuare ad esistere. Invece, i corrotti non andarono in galera e i partiti storici scomparvero. I capi delle maggiori forze politiche di allora piuttosto che affrontare le aule di tribunale preferirono distruggere i loro partiti. Un esempio su tutti. Con la morte di Craxi, latitante o in esilio, gran parte dei socialisti, piuttosto che la libertà, preferirono migrare sotto l’egida di un nuovo padrone della politica, quel Silvio Berlusconi che fondò un nuovo partito a immagine e somiglianza delle sue imprese commerciali. Un vero suicidio per il glorioso partito socialista ed una iattura per la storia politica italiana.
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rnIn questo contesto di “confusione democratica e scarsa coscienza storica”, con la scesa in campo di Berlusconi e del suo “partito azienda” si aprirono definitivamente le porte ad un sistema politico altamente personalizzato. Il partito di Forza Italia, con la scritta in grande del suo fondatore e capo indiscusso sui simboli della competizione politica ed elettorale, ha legittimato nel tempo tanti “nuovi principi di partito” e tanti “partiti personali”; tutti più o meno democratici, ma anche tutti incoerenti con lo spirito della Costituzione italiana, oltre che con la tradizione e la fisionomia dei grandi partiti europei. Dal rafforzamento della normalità si è passata alla creazione di una nuova anomalia.
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rnDa Casini a Fini, da Vendola a Di Pietro, da Rutelli a Dini, da Pannella alla Mussolini fino a Cito, in tanti hanno imitato Berlusconi e si sono fatti il “loro” partito. Lo stesso, in fondo, è accaduto con Prodi, che prima ha monopolizzato l’alternativa democratica del centro-sinistra, e poi, con la sua sconfitta elettorale, ha portato alla rovina il partito di riferimento della sinistra moderata italiana.
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rnCredo che tutto questo abbia una certa importanza nella comprensione, se non nella giustificazione, della sfiducia e dell’allontanamento dalla politica di molti cittadini. Non si tratta allora di essere “qualunquisti irresponsabili” o “fanatici dell’antipolitica”. Sono i dati di fatto che inducono a concludere che complessivamente in Italia c’è stato un arretramento e una involuzione della politica. Una regressione ad una condizione in cui “pacificamente” i cittadini contano sempre meno e la loro capacità a farsi rappresentare è vieppiù insufficiente e inadeguata.
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rnUna dimostrazione “per assurdo” di ciò è data dal fatto che da anni assistiamo ad un fenomeno molto strano, quello in cui i partiti di maggioranza devono scendere in piazza ed organizzare manifestazioni per dimostrare di essere maggioranza. Il motivo è molto semplice. Le maggioranze elettorali sono “finte maggioranze”. Esse sono ottenute con “accorgimenti” poco democratici, tra cui al primo posto c’è l’arbitrio nella composizione delle liste e nel metodo delle candidature, oltre che le stesse regole che “premiano” le maggioranze relative, le quali maggioranze a pieno titolo non sono.
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rnTra gli effetti di questo rimescolamento delle regole c’è quello per cui i candidati non sono determinati dalla loro capacità di portare a sintesi problemi di interesse comune o dal loro attaccamento al territorio e alla capacità di rappresentarlo.
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rnCome spiegare altrimenti, tanto per fare un esempio periferico, che proprio Corato, tanto nei partiti di centro-destra che in quelli di centro-sinistra, è stata rappresentata a livello nazionale da parlamentari del tutto assenti ed estranei al territorio, tutti pressoché ignoranti dei veri problemi della gente. Chi ci ha imposto i vari Giuseppe Maria Ayala, Gabriella Carlucci, Margherita Mastromauro e così via? Non sono forse stati gli effetti di questi partiti senza base e senza vera dialettica interna a generare ciò?
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rnQuesti sì che sono “accorgimenti diabolici”. Questi metodi sì che hanno portato alla caduta, se non alla perdita, di almeno altri due capisaldi del nostro stato repubblicano: la “supremazia parlamentare” e l’assenza del vincolo di mandato da parte degli eletti. Entrambi questi elementi fondamentali dello stato italiano e della rappresentanza politica sono collegati tra loro. L’assenza di vincolo di mandato che dovrebbe garantire la libertà di ogni singolo deputato è di fatto pressoché scomparsa, mentre da anni assistiamo al tentativo di trasformare anche normativamente l’Italia in “repubblica presidenziale”, da “repubblica parlamentare” che è secondo la costituzione. 
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rnA Corato: il cacio sui maccheroni e il fumo senz’arrosto.
rnSe poi brevemente passiamo dall’analisi dei cambiamenti del sistema politico nazionale a quello locale le differenze storiche sono evidenti, come pure evidenti sono certe aberrazioni. La maggiore operatività che le nuove regole consentono alle giunte, e soprattutto al primo cittadino, sono da un certo punto di vista un bene per le città, e quindi anche per Corato, ma possono essere anche una trappola mortale. Dipende da come si interpreta quello che oggi, come ci ricorda De Lillo, chiamiamo “public management” e che cosa intendiamo per “governance”.
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rnSe la prima sottintende una mera “politica del fare cose” in cui girano solo soldi e non c’è niente di strategico, di fondamentale per il futuro, anche se più impalpabile dal punto di vista fisico, allora abbiamo sbagliato tutto. La politica si riduce ad amministrazione ordinaria, a governo del presente, a pratica aziendale e sempre più spesso a feste in piazza. Proprio come si sta verificando a Corato con Gino Perrone e la sua giunta.
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rnSe invece ragioniamo in termini di “governo” dei processi di cambiamento della città e del territorio, avendo in mente il futuro, specialmente quello delle giovani generazioni, allora bisogna ammettere che è necessario puntare su elementi più immateriali come la qualità della formazione e del lavoro, la infrastrutturazione e la mobilità, una cultura avanzata separata dallo spettacolo, una sanità moderna e all’avanguardia, un coordinamento delle attività d’impresa e via dicendo.
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rnPurtroppo tutto ciò è di là da venire. La dimostrazione è nel fatto che Corato piuttosto che puntare, seppur con qualche rischio, su persone e idee nuove, ha preferito affidarsi a Gino Perrone.
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rnPer lui, politico disinvolto e navigato, che già “comandava ai sindaci senza essere neanche consigliere comunale”, è stato ancora più facile egemonizzare in proprio la politica cittadina. Le nuove regole elettorali ed amministrative degli enti locali e Berlusconi al governo sono per lui caduti ad hoc. Il suo “votarsi al fare”, che è quasi sempre, politica degli “affari correnti”, piuttosto che governo del cambiamento e impegno strategico, non poteva trovare contesto più ideale e funzionale.
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rnA Corato, con questa politica del fare, troppo è stato il “cacio sui maccheroni” di pochi, come pure troppo è stato il “fumo senz’arrosto” per i più. Che tutto ciò sia opera del diavolo non lo so. Di certo non credo che sia opera della Provvidenza… altrimenti che razza di Provvidenza sarebbe!

domenica 10 Gennaio 2010

(modifica il 13 Luglio 2022, 0:35)

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lombroso
lombroso
14 anni fa

Forse non sarebbero sufficienti regole formali di democrazia interna ad ogni livello, se nei partiti non ci fossero anche maggioranze interne determinate a rispettarle e a farle rispettare. Così come, anche in assenza di norme giuridiche, una maggioranza potrebbe operare nel rispetto di principi di democrazia interna e trasparenza. Purtroppo quasi mai ricorre l’una o l’altra ipotesi. Perché mai, allora, caro Gaetano, non tentare un percorso sulla seconda strada?

rimbambito
rimbambito
14 anni fa

la politica del fare a corato, è vero, non è altro che amministrare le finanze pubbiche per i servizi della comunità, ecc.. come ha detto G. Bucci. ma a cosa servono allora i politici attualmente? invece a molfetta i politici hanno fatto quel po po di zona industriale ed hanno creato un indotto da far invidia. anche quella è politica del fare ma…… i risultati sono ben diversi, ed anche i risultati per chi amministra. non per niente il sindaco è onorevole. segue

rimbambito
rimbambito
14 anni fa

continua. Aldo Moro diceva: il politicante pensa alle prossime elezioni, il politico pensa alle prossime generazioni…! non credo che la seconda sia in attuazione a corato. ma come confermato dalla storia, ogni epoca politica finisce e quando sarà, noi raccoglieremo i cocci ma qualcun’altro, frattanto, i voti. non ci resta che aspettare?