L’estate del ‘74 – Quinta puntata

Dino Patruno
Anche quella sera Vito sarebbe rimasto in piazza Corsica fino a tardi. Lui era sempre l’ultimo del suo gruppo a rientrare a casa. Era o...
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Anche quella sera Vito sarebbe rimasto in piazza Corsica fino a tardi.

Lui era sempre l’ultimo del suo gruppo a rientrare a casa. Era o non era il capo?

Era o non era” Vetùcce-Diabolìcche“? Perciò , proprio come l’eroe dei fumetti , si ritirava solo quando le tenebre erano abbondantemente calate da un pezzo.

In più, quella sera, doveva portare a termine un certo lavoretto. E perciò avrebbe atteso ancora.

Fino a notte inoltrata se necessario. Intanto, per ingannare l’attesa, avrebbe approfittato per ritoccare le punte ai suoi “tuppelècchje”.

Ripensò a quella ennesima giornata di giochi appena trascorsa.

Aveva vinto in tutti quelli che nella lunga giornata estiva era stato possibile inventarsi.

Lui era uno di quelli che era sempre meglio avere dalla propria parte. A pallone . A “scariche o botte?”. A “tuppelecchje”. Perché lui ,in un modo o nell’altro , riusciva sempre a prevalere.

Aveva capito che lì nella piazzetta per farsi rispettare quella era l’unica maniera. Vincere. Anche con la prepotenza se necessario. E per questo era sempre pronto ad attaccare briga quando si rendeva conto che le cose prendevano una piega diversa dal suo volere.

Ed, a dispetto di un fisico asciutto e mingherlino, era irruente e rissoso . Con un impeto tutto nervi e cuore che intimoriva gli altri. Anche i ragazzi più grandi. Aveva imparato subito, che lì nella strada ,quella era la cosa giusta da fare. Per distinguersi dagli altri. Che subivano.

Che finivano con l’accettare le sconfitte. E che continuavano a portarsi dentro quel senso di scacco anche negli anni a venire. Come una fatalità inevitabile. Finendo col condurre una vita fatta di niente.

Come quei “catamùne” che vedeva sempre buttati su qualche panchina lì in piazza a farsi le canne ad esempio. Lui non voleva fare quella fine.

Oppure come quei quattro scarognati che impiegavano tutto il tempo a rimediare un lavoretto in campagna o su qualche cantiere e poi , dopo essersi rotta la schiena per quattro soldi , trascorrevano la serata bevendo birra e gareggiando a chi faceva più rutti . Anche quelli Vito non li sopportava.

Gente senza spina dorsale, rassegnata al proprio destino. Per non parlare di quegli studenti che, dopo aver trascorso una giornata sui libri, altra cosa che non serviva a niente, si riunivano lì in piazza a perdere tempo .

O magari ascoltavano quell’ insopportabile musica da quelle loro enormi radio sparate ad alto volume .

Sorrise.

Ripensò ad una sera d’ un paio d’anni prima. Come al solito stava giocando in piazza al“tuppelecchje”con i suoi soliti amici. E già da un’ora buona un gruppetto di giovinastri si era raccolto intorno al solito potentissimo mangianastri che troneggiava sopra un 128 rosso fuoco ad ascoltare una lagna insopportabile.

Bing flod , Fluid ding come capperi li chiamavano …. Un paio di volte il bastoncino lanciato dalla mazza dai suoi amici era finito per sbaglio nei loro paraggi.

Quelli , per dispetto , invece di restituirli, li avevano appiccati usandoli a mo’ di cerini fingendo poi di fumarseli come fossero sigari prelibati. Il tutto condito da sguaiate risate e inviti poco gentili a girare alla larga.

Vito iniziò a sentire una rabbia grandissima: per ottenere dei “tuppelecchje” come quelli che faceva lui ci voleva un sacco di tempo e di pazienza.

E ora questi “caipirri”se ne erano fregati già due.

Ca mo ce na ve ne sciate …” minacciò un tipo magro sui vent’anni con degli antipaticissimi baffetti e le orecchie a sventola.

Ma pe chèdde rècchje …. pigghje pure a Capodistria?” aveva ribattuto Vito sfrontatamente.

Ma vide a cusse ‘mbrevuse….” Aveva borbottato quello , facendo la mossa di lanciarsi contro Vito per poi lasciar perdere solo perché Vito era più piccolo di lui. E riprese a fumare e a chiacchierare con gli altri.

Ma Vitù … ce te pìgghie?” gli aveva urlato un suo compagno di giochi. “Lasciali perdere a quelli . Vuoi andare per mazzate?”

Statte citte! “ gli aveva risposto di rimando Vito che si stava concentrando.

Non voleva assolutamente lasciar perdere. Era il più forte giocatore di “tuppelecchje” del quartiere. Ed era arrivato il momento di dimostrarlo. Si era messo in direzione di quei quattro imbecilli. E anche se la distanza era notevole aveva preso per bene la mira.

Poi con la mazza aveva battuto con precisione sul bastoncino appuntito che aveva con cura sistemato a terra. Il bastoncino era saltato in aria alla giusta altezza desiderata da Vito.

Aveva quindi intercettato “u tuppelecchje” con la mazza facendolo rimbalzare con maestria due,tre,quattro volte per preparare bene il lancio.

Contemporaneamente era riuscito a camminare guadagnando qualche metro. E alla fine, aveva dato un ultimo e poderoso colpo di mazza indirizzando con precisione millimetrica “u tuppelecchje “ proprio contro la radio da cui provenivano quelle note lamentose.

E l’aveva centrata in pieno mandandola in terra dove si era rovinosamente fracassata in mille pezzi.

Era stato un attimo. Non aveva avuto neanche il tempo di gioire per quella bravata, che quelli come un sol uomo si erano buttati subito al suo inseguimento.
“Scappa , scappa Vitù” gridarono tutti . E Vito scappò via .

Tornare a casa , quella notte fu piuttosto complicato. Ma in quell’ occasione era nata la sua leggenda. La leggenda di Vitùcce detto “Diabolìcche”. Aveva percorso tutta la città per sfuggire ai suoi inseguitori. Aveva rischiato di essere preso .

Ma dopo un lungo giro vizioso , era riuscito finalmente a far perdere le sue tracce. E così , convinto di averla fatta franca, era tornato sui suoi passi. Gli restava ormai solo da attraversare un paio di strade per arrivare a casa sua in via Guerrazzi, quando si rese conto che quelli erano lì ad aspettarlo.

Era impossibile raggiungere il portone di casa sua senza farsi vedere. Vito era molto stanco. Non sapeva quanto altro tempo avrebbe potuto resistere là fuori. Intanto quelli avevano acceso l’ennesima canna e se la passavano tra loro ridendo rumorosamente.

Avevano tempo, evidentemente. Quando, ad un certo punto Vito, nel silenzio della notte,aveva udito il rumore di un motocarro che si avvicinava. Riconobbe quel rumore. Era quello del motocarro di zio Colino,un compare di suo padre che si stava sicuramente recando in campagna.

Il veicolo sarebbe passato davanti a lui e prima di arrivare sullo stramurale sarebbe passato davanti ai suoi inseguitori e quindi alla porta di casa sua. Era un’occasione da prendere al volo.

Appena gli era passato davanti, con un balzo notevole era riuscito a saltare dentro al rimorchio. Era atterrato su qualcosa di morbido per sua fortuna ma molto, molto puzzolente.

Dopo qualche secondo il motocarro passò proprio davanti a quelli là.
“Madonne ce fetuìzze!” esclamò uno . E tutti gli altri giù a ridere.

Vito si stese completamente nel rimorchio fino a quasi immergersi in quel contenuto maleodorante. Sicuramente zio Colino stava trasportando del letame per concimare i suoi campi. Comunque , meglio quello che le mazzate , pensò Vito .

E rimase quasi senza respirare giù nel camion fino a quando non si rese conto di essere proprio davanti alla porta di casa sua. Allora, con l’agilità di un gatto, saltò giù dal motocarro in corsa e si infilò nel portone che per qualche motivo era rimasto aperto.

Richiuse la porta alle sue spalle e finalmente poté respirare. Era salvo. Anche se puzzava da fare schifo. Sentì urlare fuori. Forse quelli lo avevano visto . Poco importava . Anzi ,meglio. Così si erano accorti di essere stati beffati un’altra volta.

Stava per salire le scale tutto felice , quando gli si parò di fronte il padre . Non ebbe il tempo di spiegare. Il padre si era appena alzato per andare al lavoro. Era un povero diavolo che lavorava in uno dei tanti cantieri abusivi che erano sorti soprattutto in periferia. E così lavorava spesso di notte.

Pertanto , sorpreso il figlio che rientrava a quell’ora così tarda e con quel puzzo terribile addosso l’aveva gonfiato di botte. Vito era talmente stanco che dopo pochi minuti , pur con tutti i dolori per quelle mazzate, si addormentò. Lì per terra dove l’aveva lasciato il padre, completamente tramortito.

Ma al mattino dopo , quando tutto il quartiere venne a sapere di quella sua incredibile avventura , nacque la leggenda di un ragazzino scaltro ed imprendibile: Vetùcce detto Diabolìcche. Nonostante i dolori che avvertiva per tutte le botte che aveva preso la notte prima si sentì felice come non mai e si convinse che quello che aveva vissuto sarebbe stato per sempre il suo stile di vita.

La sua vocazione. E che da allora innanzi avrebbe fatto in modo da onorare il soprannome che si era guadagnato. Diabolìcche. Che poi manco l’aveva letto mai un fumetto di Diabolìcche.

Sapeva solo che era cattivissimo e che era un grandissimo ladro. E si prendeva un sacco di femmine pure. Non gli importava che suo padre gli aveva detto che prima o poi sarebbe andato con lui a lavorare visto che di studiare non se ne parlava. Lui non ne aveva voglia.

E avrebbe fatto in modo di farglielo capire . Lui a lavorare di notte per quattro lire non ci voleva andare. No. Lui avrebbe fatto altro. Si sarebbe fatto rispettare e avrebbe fatto i soldi in altri modi . Tanti soldi. E aveva già iniziato. C’erano un sacco di cose che si potevano fare lì in paese per fare soldi rapidamente. In breve ne avrebbe avuti così tanti da potersene andare di casa.

E così , per esempio,quella sera aveva fiutato un buon colpo. Aveva subito visto quella macchina targata Milano arrivare lì in piazza . Doveva essere bella carica come quella di tutti i forestieri che venivano a Corato per le vacanze.

E poi a vedere quello che era sceso da quell’auto . ‘N bàbbie . Ma proprie bàbbie. A lui quei tipi lì davano sui nervi. E per giunta quello si era pure incantato a vederlo palleggiare con quella lattina . Madonne ce nìerve. E così gli aveva tirato addosso quella lattina , proprio per colpirlo.

Perché lo aveva innervosito . Ma quello, non aveva capito come, era riuscito a scansarsi . Comunque la cosa lo aveva divertito e gli aveva permesso di fare un po’ di scena con gli amici. Ed in più gli aveva permesso di adocchiare quella bella macchina che doveva essere piena zeppa di roba.

Si alzò dalla panchina. I suoi tuppelecchje erano appuntiti alla perfezione.

Uagliò! Sciame a sfotte qualche peccenènne” disse rivolto ai suoi amici.
Sciame, sciame” risposero quelli entusiasti.

Vito allora prese per la stradina che portava al corso ed una volta nella strada principale della città buttò un’occhiata in giro cercando qualche ragazza da abbordare. Gli altri, nel frattempo , cercavano di stargli dietro e lo seguivano a breve distanza.

Erano Pinuccio detto “u Lèste” perché, non avendo l’abitudine di lavarsi molto, lasciava dietro una scia non propriamente profumata. Mimì , detto “ u Varvìere ” perché il padre faceva appunto il barbiere. Ceccille detto “Sartàscene” per i suoi occhi grandi come delle padelle, appunto.

Ed infine , Nino detto “ Sanghelatte”per la sua costituzione robusta. Tutti e quattro lo seguivano cercando di mantenere la sua andatura. Ma spesso capitava , come quella sera , che lui fosse troppo veloce per gli altri e che questi puntualmente rimanessero indietro.

Soprattutto “Sanghelatte” sbuffava attardato e ogni tanto chiamava gli altri , invitandoli ad aspettarlo. Vito non si voltava. Era troppo preso nelle sue cose. Nei suoi mille pensieri. Ad esempio ,chissà se a quell’ora Grazia ….

Ma ricacciò subito quella nuova idea che gli era passata per la testa. Non era il momento . Doveva concentrarsi su quello che doveva fare.

E così rimuginando, adocchiò finalmente un paio di signorine che venivano proprio verso di loro.

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Fine quinta puntata

sabato 21 Marzo 2009

(modifica il 3 Febbraio 2023, 11:45)

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