Cultura

Luciano Pavarotti: uno, nessuno e centomila

La Redazione
Il ricordo del grande tenore scomparso pochi giorni fa nelle righe del maestro coratino Domenico Molinini.
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Il ricordo del grande tenore scomparso pochi giorni fa nelle righe del maestro coratino Domenico Molinini.
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rnParlare di Luciano Pavarotti, a pochi giorni dalla sua morte è facile e difficile nello stesso tempo.
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rnFacile per chi si unisca al coro encomiastico che si è levato in tutto il mondo e ha fatto da contrappunto all’evento.
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rnDifficile per chi voglia guardare con occhio sereno e disincantato l’uomo e l’artista.
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rnPaolo Isotta, noto critico musicale ed altrettanto noto per i giudizi poco benevoli, quasi da sempre, pronunciati verso Pavarotti, ha scelto, con estrema coerenza, la seconda strada, scrivendo un edi-toriale sul Corriere della Sera del 7 settembre.
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rnL’editoriale di Paolo Isotta ha suscitato le ire del regista Franco Zeffirelli, come risulta dall’articolo pubblicato da Il Velino lo stesso 7 settembre.
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rnOra è in atto una querelle che coinvolge musicisti, cantanti, melomani, giornalisti, esperti veri e presunti tali (non mi risulta ancora di politici che abbiano fatto sentire la loro), che si muove su piani che vanno dalla pacatezza discorsiva all’invettiva, all’ingiuria più pesante.
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rnPrima di fare una mia modesta riflessione su tutto quanto (nei prossimi giorni), ritengo utile riproporre la lettura di entrambi gli articoli, scaricabili cliccando qui.
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rnLa posizione di Paolo Isotta, se non si sia prevenuti nei suoi confronti, è quello del critico, che sa di musica. Vi si colgono tutta l’iniziale ammirazione per il giovane tenore, che Isotta definisce erede di Beniamino Gigli (e non è dire poco) e il riconoscimento di doti mai perdute (che sono quelle che distinguono i grandi tenori dalla massa): timbro, fiati lunghi e sani e (direi per ultima, ma non ultima) «…quella splendida chiarezza di dizione che non l’ha abbandonato mai…».
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rnI passaggi iniziali dell’editoriale di Paolo Isotta, quindi, sono un encomio. Leggendo con animo sgombro l’inizio «Vorremmo ricordare il tenore emiliano com’era…», allora, si coglie tutto la portata umana della critica: il dolore di chi si sente deluso, per lo spreco ed il mediocre utilizzo di così tanta ricchezza.
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rnDi qui la denuncia di quei difetti e limiti, che, a dire di Paolo Isotta, Luciano Pavarotti mai riconobbe di avere, neppure quando glieli si facevano notare con affetto: l’analfabetismo musicale, la mancanza di senso ritmico (e, quindi, metrico), l’assunzione di ruoli d’opera non proprio o del tutto inadatti alla sua vocalità.
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rnDi qui la necessità di avere direttori che fossero tanto esperti nell’affrontare e risolvere incidenti esecutivi di percorso, quanto disposti a non essere rigorosamente attaccati al profilo filologico della partitura.
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rnDi qui la critica su certe scelte di Pavarotti, che Isotta lapidariamente definisce di dubbio gusto.
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rnL’intervento del regista Franco Zeffirelli ha un profilo nettamente differente.

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Si muove, in una dimensione emotiva, su piani acritici. Non coglie (o più probabilmente non vuole cogliere) il lato umano, prima ancora che tecnico, della critica di Paolo Isotta. Quindi, da una parte cerca di isolarlo dal resto del mondo giornalistico e della critica musicale, bollando l’articolo, come squalificante e disonorante lo stesso giornalismo e la stessa critica musicale italiana e, poco elegantemente, offendendo Isotta con un epiteto, che qui non ripeto, dall’altra definisce Pavarotti come «…uno dei più grandi geni musicali, un uomo che cantava libero…».
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rnDi qui i riferimenti al Maestro Muti, al Teatro Metropolitan di New York e all’allestimento del Don Carlo alla Scala il 7 dicembre del 1992, legati, se vogliamo, al complesso e particolare intreccio di caratteri e personaggi che si muovono nel caleidoscopico mondo del teatro d’opera.
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rnIl critico musicale Paolo Isotta fa osservazioni di natura sintattica, grammaticale e lessicale, in una parola, linguistica musicale e, più specificamente, interpretativa nel canto lirico.
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rnPurtroppo, rigore e onestà intellettuali lo portano a non tenere conto del rischio di apparire solo un mero detrattore, nel momento topico, qual è quello della morte, dando spazio a commenti (e non parlo solo di Zeffirelli) che, facendo leva sull’emotività, sminuiscono la lucidità della sua analisi, ponendola in una scomoda posizione, ideologicamente impopolare.
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rnNon si può negare che la conoscenza di un sapere è legata a quella degli elementi che lo costituiscono.
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rnIl sapere musicale, come tutti i saperi linguistici, si fonda sulla capacità di concettualizzare usando gli oggetti del linguaggio: i fonemi per le lingue parlate, i suoni per la musica. La concettualizzazione è imprescindibile. La lettura e la scrittura, invece, sono elementi secondari.
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rnQuesto per dire che, per fare musica non occorre conoscere e praticare il solfeggio (è abbastanza nota nei conservatori e a una certa Direzione del Ministero dell’Università la mia posizione fortemente critica su quella pratica).
rnPer concettualizzare i suoni, non è assolutamente necessario conoscerne la rappresentazione semiografica e coglierne il significato da un tracciato scritto.
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rnMa è assolutamente necessario averne un’immagine mentale, della quale faccia parte integrante anche la durata.
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rnIl cantante che canta a memoria con ottimi, se non eccellenti risultati, quindi, non può che riscuotere plauso. Sarebbe, infatti, arbitrario stabilire che ciò che è fatto bene, sia tale solo se attuato in determinati modi.
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rnQuello che contano sono i risultati.
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rnDel resto, ancora dopo il primo millennio non essendoci ancora la scrittura musicale, i pueri cantores imparavano a memoria i canti da eseguire (il loro percorso formativo durava diversi anni). Cantare a memoria significa aver assimilato il quadro sonoro in tutta la sua morfologia, le sue componenti.
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rnEssenziale è la capacità di discriminare le differenti durate (dovendosi rigorosamente intendere per durate sia quelle dei suoni, sia quelle dei silenzi, le pause), ossia di cogliere appieno la dimensione ritmica del tracciato musicale.
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rnMancando la capacità di cogliere il senso ritmico, se c’è aritmia, quindi, sono guai: è come voler rappresentare un oggetto senza saper disegnare. Ogni tentativo sarà una variazione sul tema dello sgorbio.
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rnDel resto a Paolo Isotta non sfugge che la disfunzione da lui evidenziata in Pavarotti affligga molti altri cantanti lirici, nei quali si rilevano voce e vocalità straordinarie, ma scarsa educazione ed istruzione musicale. È disfunzione che ho rilevato anch’io nella mia modesta attività di direttore in cantanti anche celebri (con squisite eccezioni).
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rnSi deve, quindi, parlare di educazione e istruzione musicale, latitanti in Italia e, spesso, carenti anche in personaggi, cosiddetti culturalmente altolocati, arbitri, dall’alto del loro ruolo istituzionale, di scelte infelici (che producono “luminose” carriere): tanto, la comunità nazionale beve qualunque cosa gli venga proposta.
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rnSinceramente, certe uscite di Pavarotti mi hanno causato notevole imbarazzo (lo stesso che ho provato in altra occasione, ascoltando i rimasugli di una voce lirica, che, pure, è stata tra le eccellenti, impegnata in un repertorio a lei del tutto inadatto). Alludo alle esibizioni dette “Pavarotti and friends”, dove la fama di Pavarotti mette ancor più in risalto le figure dei “friends”, musicisti eccellenti nei loro generi musicali (vedi Dalla e Bono).
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rnÈ proprio in quelle occasioni che, all’incongruenza, determinata non dalle vocalità differenti, ma dagli stili vocali differenti, a danno del valore estetico dei brani musicali (emblematico è un video in cui Pavarotti “canta” All You Need Is Love), si aggiunge e risulta evidente la aritmicità cui Paolo Isotta fa riferimento.
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rnSi tratta in questo, come in altri casi, di scelte, che vanno rispettate, ma non da ritenere ingiudicabili. Da ciò che si fa, traspaiono il grado del sapere ed il buon gusto di chi fa. Difficilmente chi ha conoscenza mescola il grano con il loglio in commistioni che nulla hanno a che fare con la contaminazione (intesa nel senso latino del termine).
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rnNon convengo neppure con chi afferma che Pavarotti abbia fatto conoscere l’opera lirica italiana nel mondo. Non occorre citare Caruso, poiché la musica lirica italiana nel mondo la hanno fatta, la fanno e la faranno conoscere fior di cantanti anche e, per forza di numeri, soprattutto stranieri (basta seguire i tanti corsi e concorsi di canto lirico che si tengono in Italia e all’estero per notare quanto la musica del teatro d’opera italiano conti e sia diffusa nel mondo).
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rnSi può, invece, affermare che la morte di Luciano Pavarotti ha avuto così tanta eco nel mondo, poiché egli è stato uno degli interpreti più celebrati dell’opera lirica italiana, genere che, fin dalle sue origini, potremmo dire “Monteverdi and friends” (lo sa bene chi conosca un tantino di storia della musica), è nelle corde del mondo.
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rnCosì come trovo esagerato parlare di Pavarotti come di un genio musicale. Che lo dica l’uomo della strada, passi pure, ma, se ad affermare che parlando di Pavarotti “Stiamo parlando di uno dei più grandi geni musicali” è il regista Franco Zeffirelli, mi sorprende.
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rnPavarotti e Caruso, Muti e Toscanini, per limitarmi a tenori e direttori, sono interpreti.
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rnPossiamo disquisire a lungo per convenire se siano grandi, grandissimi, insuperabili…interpreti.
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rnGenio è chi crea e, se vogliamo sottilizzare, filosofeggiando, se chi crea ha natura umana è “qui creat et creatur”, per distinguere da “Qui creat et non creatur” (nella minuscola e nella maiuscola c’è tutto lì il senso del principio).
rnDiamo a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio

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Non è corretto continuare a parlare di Aida, Norma, Tosca, Messa di Requiem, Sinfonia di… e segue il cognome di un direttore o un cantante, ossia dell’interprete, omettendo di citare l’autore, ossia chi ha ideato, composto e scritto l’opera, il genio creativo appunto.
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rnUna volta che saranno cessati i clamori levatisi alla sua morte, allora sarà possibile rivedere, temperare, pronunciare giudizi più sereni ed equanimi su Luciano Pavarotti.
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rnAllora, forse, si dirà che, comunque e quantunque, quando, su piani estetici a lui più consoni, egli ha potuto e voluto collaborare con pregevoli direttori e musicisti, realmente all’altezza della loro fama, i risultati sono stati altrettanto pregevoli.
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rnAllora, forse, si riconoscerà che, come uno Stradivarius, affidato ad un grande violinista, dà suoni dalla bellezza impareggiabile, così quella che (a cominciare da Isotta) è stata definita come “una tra le più belle voci del secolo” ha firmato, con esecuzioni-interpretazioni memorabili, alcune delle più belle pagine di musica mai scritte. Un merito, questo, che si deve riconoscere a Luciano Pavarotti.
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rnAllora, forse, si guarderà solo quello che, a prescindere dalle metodologie utilizzate, ha fatto di buono: il cantante d’opera.
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rn“Ricordatemi come cantante d’opera”, è stato il desiderio che Luciano Pavarotti ha espresso negli ultimi giorni della sua vita terrena.
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rnCosì sarà giusto ricordarlo: Luciano Pavarotti cantante d’opera.

domenica 16 Settembre 2007

(modifica il 13 Luglio 2022, 19:20)

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fortunata
fortunata
16 anni fa

Complimenti per il pezzo davvero straordinario: finalmente qualcuno che dice le cose come stanno veramente per quanto riguarda Luciano Pavarotti.
Non sono che una modesta appassionata di m usica, ma le notazioni di Isotta e dell’autore dell’articolo sono state anche le mie.
Ricordo quella famosa Boheme degli anni giovanili e poi il progressivo appiattimento di Pavarotti su un repertorio anche fin troppo facile e usato. La Musica esige verità e non cieco entusiasmo.