“Lucia” (parte seconda)

Dino Patruno
Lucia e Pietro si conoscevano praticamente da sempre. Erano cresciuti insieme lì nella strada, condividevano giochi, fantasie, sogni. Poi, non...
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Lucia e Pietro si conoscevano praticamente da sempre.
Erano cresciuti insieme lì nella strada, condividevano giochi, fantasie, sogni. Poi, non appena Pietro aveva preso a lavorare in campagna, seppur giovanissimi, si erano automaticamente “promessi”, con la benedizione delle rispettive famiglie.

E mentre lui era diventato un bravo agricoltore forte e molto apprezzato, lei si era diplomata brillantemente al Liceo Classico Oriani e spinta dai suoi insegnanti si era iscritta proprio quell’anno all’Università.

Dopo averle rivolto un breve saluto, Pietro, che era un tipo che andava per le spicce, le disse in tono grave che “teneva una cosa importante da comunicarle”.

Lei annuì sorridendo e attese.

“Lucì sai bene che io alla “fatiche” ci tengo. Non mi sono mai tirato indietro sul lavoro e perciò Don Vito è tanto contento di me”. Tacque per un momento per dare maggiore solennità a ciò che stava per dirle.
“Mi ha detto stamattina quando mi ha dato la legna per la JoaJò, che la migliore masseria la tiene dietro a Poggiorsini, sulla Murgia, e che lì ci sta un “massaro” troppo vecchio ormai per badare alla campagna e alle bestie. Insomma ha bisogno di un giovane volenteroso e capace che impara subito il mestiere e che si occupa di tutto”. Rifiatò. Lucia vedeva oltre le spalle di Pietro le fiamme levarsi adesso altissime, disegnando un fondale per quella scena quasi terrorizzante.

Le grida degli astanti si erano fatte nel frattempo più continue e Pietro fu allora costretto ad alzare la voce: “Insomma Lucì, quel lavoro è mio e se lo voglio devo accettare subito. Facciamo appena in tempo a preparare le carte, andare da Don Cataldo della “Chiesa Grande” e a sposarci entro la fine dell’anno. Bisogna far presto Lucì se vogliamo fare le cose “aggarbate”.

Le ultime parole furono gridate in mezzo alla gente ormai più interessata alla loro conversazione che alla JoaJò.

Lucia con un disagio crescente dentro di sé, alzò allora gli occhi e cercò quelli di Pietro: lo fissò intensamente ed ebbe la strana sensazione di vederlo veramente per la prima volta.

“Bhe… è bellissimo” – quasi balbettò Lucia – “ma io… tu lo sai… mi sono iscritta all’Università e devo seguire le lezioni… devo studiare… mi voglio laureare… eravamo d’accordo…”.

Pietro le strinse le braccia con le sue mani grosse e tuonò: “Ma che laurea e laurea Lucì. Ma quando mai si è visto che uno di noi si laurea e femmina pure. E poi ‘mò con lo sposalizio e i figli… Lasse perde sta cacchie di laurea. Ci piense gghie a tiche… non t’ sinde preocupenne…”.

Lucia cercò di raccogliere tutte le sue forze “Ma Pietro… tu sai quanto ci tengo. Io voglio insegnare e poi… poi… non posso lasciare quei padri di famiglia… io li sto aiutando”.

“Ma lassele perde a chidde quatte pecurale Lucì”. Tagliò corto Pietro.

“E poi mio padre… mia madre” – tentò Lucia – “glielo devo dire… non sono preparati”.

“Ste già parlate p’attanete” – esclamò trionfante Pietro. “E sai che mi ha detto” – continuò – “Bravo, bravo uagliò. Acchessì vi sistemate, mettete su famiglia e chedde non vè chiù currenne da ddò e da ddà!”.

Lucia aveva sempre immaginato che suo padre non fosse proprio contento di quelle sua scelta ma non fino a quel punto. È vero ogni tanto borbottava per quella figlia con tutti quei grilli per la testa: lo studio, la laurea, l’insegnamento. Con quel che gli costava poi. Certo, se lei se ne fosse andata di casa, lui si sarebbe tolto un bel pensiero. E sua madre?
Sua madre le voleva bene ed era stata sempre dalla sua parte; ma sapeva anche che si sarebbe piegata facilmente alla volontà di suo marito: lei sempre così buona, così maledettamente arrendevole.

Improvvisamente, quella sensazione di freddo che quella sera mai l’aveva abbandonata, si fece insopportabile. Eppure… eppure era proprio vicina alla calda fiamma della Joajò. Si ranicchiò sulla sua esile figura e mormorò. “Ho capito! È tutto già deciso”. E poi rivolta a lui: “va bene Pietro… ora mi dirai tutto per bene… vado solo un minuto a casa a prendere uno scialle e il braciere per raccogliere la brace della JoaJò… ‘mò vengo”.

Pietro allora sorridendo le disse: “Brava Lucì… acchessì ve bbuon’… acchessì addà esse la fèmene maie… io ti aspetto qui. È capasce ca ce ghi me ne voche e ddò si stute la fascine… ca chisse so tutt’ na massa di mingliarlaune…”.

Lucia scivolò rapidamente via sottraendosi così alla curiosità dei loro amici che adesso ridevano per le ultime parole di Pietro. Attraversò un paio di stradine di corsa cercando di mettere a fuoco gli avvenimenti di quegli ultimi minuti ma provò solo una gran voglia di piangere. Continuò a correre ricacciando le lacrime e si arrestò soltanto davanti alla porta della torretta in via Notardomenico dove abitava. Entrò. Chiamò la madre. Ma non le rispose. Evidentemente anche lei era uscita con le sue amiche per la JoaJò.

Il padre invece c’era e l’accolse con un saluto in tutto simile ad un grugnito. Aveva già cenato e bevuto soprattutto e sedeva come un beota davanti alla radio che tra una scarica e l’altra diffondeva nell’aria una canzone di Togliani.

“Mamma dov’è?” – azzardò Lucia.

“Nan sacce nudd”… non sacce mè addà vè chedda fèmene. Vè sembre camenenn… è accamme a tiche. Non tenite amore de case. Ma tu che tieni? Stè accamme na gatte scallate!”.

Lucia che non aveva voglia di parlare di ciò che era successo tagliò corto: “Niente… non è niente. Senti io vado in via Monte di Pietà per la JoaJò e dì a mamma che per la cena mi arrangio in qualche modo.”

“Eh sì” – sbottò il padre – “Mò te ne vai pure tu… e chess è l’arte… arrecurde’t ca’ re’ fèmene è megghie ca la sere si stanne a re casere loro… è vere ca mò è spicciate stà canzone… avaste a mette acqua a cosce … ad assì la notte, a scì da ddò e da ddà… a Bari all’Università. Ma mò t’spuse e” – ridendo sguaiatamente concluse – “e staremo a vedere ce non la fernìsce”.

Lucia aveva ascoltato impietrita, senza avere la forza di ribattere. “È proprio vero” – pensò “chesse è proprio la volta ca… l’agghia fernèsce”.

(continua tra due settimane)

giovedì 26 Gennaio 2006

(modifica il 3 Febbraio 2023, 11:45)

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