Tutelare il paesaggio nella dinamica di una società sbandata e malata

Pasquale Laterza
Se all'origine della pianificazione territoriale vi è un'esigenza "razionalista", cioè quella di garantire un'equa gestione di una risorsa -...
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Se all’origine della pianificazione territoriale vi è un’esigenza “razionalista”, cioè quella di garantire un’equa gestione di una risorsa – ovviamente – scarsa e non rinnovabile, si può dire che questa esigenza sia soddisfatta dagli strumenti oggi in circolazione?

E’ realistico pensare che oggi, anno domini 2006, equa gestione del territorio significa, ovviamente, anche gestione “sostenibile” o meglio fondata sul principio della tutela della biodiversità e quindi delle reti ecologiche (più che delle sole aree protette intese in senso tradizionale).

Ma nel frattempo, naturalmente, l’urbanistica ha marciato (e marcia) a pieno ritmo, producendo gli effetti che ognuno di noi può constatare de visu sul territorio.

A dirigerla non c’e ovviamente un quadro di riferimento generale, né un sistema organico di tutele per l’ambiente naturale ed il paesaggio. C’erano – e ci sono – inevitabilmente soltanto gli interessi, più o meno organizzati di categorie, lobbies, gruppi economici grandi, piccoli e piccolissimi, tutti adeguatamente rappresentati nelle amministrazioni comunali.
Tant’è che il processo di formazione e discussione di progetti importanti si riduce spesso – di fatto – ad un penoso gioco autoreferenziale, senza alcun momento di reale trasparenza, tra sindaci e consiglieri (spesso soltanto alcuni consiglieri) comunali, più o meno “ispirati” dai diretti interessati alle trasformazioni, con professionisti e funzionari ridotti al ruolo di notai di decisioni altrui.

Tutto (o quasi) legittimo, beninteso, “legale” e nel rispetto delle regole canoniche. Nulla a che vedere con l’abusivismo anarchico dilagante. E tuttavia si intravedono gli effetti negativi sul territorio vituperato dalla dissennatezza urbanistica.
Basti pensare a cos’è diventata l’area appena extraurbana, un’allucinante sfilata di capannoni ed edifici dalle più svariate destinazioni lungo la statale e le provinciali, al di fuori di qualsiasi logica, con le inevitabili (e queste sì logiche!) conseguenze: congestione viabilistica, scomparsa del paesaggio agrario, spreco di territorio, impoverimento delle capacità di tenuta del suolo, ecc.

Nessuno, men che meno il Comune, ha saputo resistere alla spinta verso la proliferazione di zone produttive o “miste” artigianali-commerciali, o artigianali poi trasformatesi in commerciali, o commerciali tout court, qua e là sul territorio. Non si è voluto costruire un serio coordinamento delle scelte insediative, per evitare almeno che si costruisse (con soldi pubblici, si badi!) la propria zona artigianale e poi anche quella commerciale, con tutto l’inevitabile corredo di infrastrutture viarie e non.

Nessuno, neppure le organizzazioni agricole, che pensassero ad una vera tutela del suolo coltivabile di fronte all’inarrestabile espansione del cemento e dell’asfalto.

O meglio, qualcuno c’era (e c’è ancora): i soliti rompiscatole ambientalisti. Ma si sa, sono “fondamentalisti”, non hanno in mente lo “sviluppo”, soltanto i “vincoli”…

giovedì 19 Gennaio 2006

(modifica il 3 Febbraio 2023, 11:43)

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