“Lucia”

Dino Patruno
"Corato… finalmente!" – esclamò Marco mentre alla guida della sua berlina affrontava il dosso del passaggio a livello di via Trani. Lucia...
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“Corato… finalmente!” – esclamò Marco mentre alla guida della sua berlina affrontava il dosso del passaggio a livello di via Trani.

Lucia si scosse dal torpore da cui veniva sempre rapita durante i lunghi spostamenti in auto. Con un movimento lento si sollevò sul sedile nel quale era sprofondata, si infilò gli occhiali e guardò con malcelata curiosità dal finestrino: ciò che vide non lo riconobbe. Il suo sguardo elencava palazzi, negozi, showrooms di costruzione relativamente recente disposti l’uno accanto all’altro su entrambi i lati di via Trani. Sorrise. Ai suoi tempi dopo la “Gilda”, come veniva indicata comunemente la Scuola Media Santarella, ed oltrepassato l’estramurale si vedeva solo qualche casupola e il mattatoio. Quell’imponente sviluppo urbano acuì in lei la sensazione del tempo trascorso, alimentando nei confronti di Corato quel senso di estraneità che negli anni si era accumulato nella sua anima.

“Allora… mamma… ora mi racconterai” – disse Marco con un tono tra il curioso e il canzonatorio – “di questo paese chiamato Corato… un paese di cui non mi hai mai parlato… Ma è o no il tuo paese?”

Corato… il suo paese… L’eco delle parole di Marco le rimbombava nella mente fastidiosa, martellante. Non gli rispose. Si limitò a lanciargli un sorriso forzato e tornò a guardare fuori. Lo sapeva bene che al figlio ormai trentenne non aveva raccontato nulla su Corato perché… perché… ma perché quando provava a frugare nei suoi ricordi non riusciva a trovare… niente: era come se una gigantesca spugna avesse cancellato ogni segno sulla lavagna della sua memoria. Una difesa evidentemente, necessaria, inevitabile.
Intanto, erano giunti al semaforo che smistava il traffico sull’estramurale. Marco la guardò con aria interrogativa.

“Vai a sinistra… no a destra forse…. massì va’ dove vuoi tanto è uguale… questa strada qui è un anello” – si sentì dire Lucia.

Marco un po’ spazientito prese a destra e si infilò nel pigro traffico serale sull’estramurale. Dopo pochi metri l’auto fu costretta di nuovo ad arrestarsi a causa di un nuovo semaforo. Lucia allora, meccanicamente, aprì il finestrino. Non ebbe il tempo di pensare al nuovo disorientamento datale dal paesaggio che aveva sostituito le stalle e i vecchi magazzini di una volta, perché fu investita dall’aria tagliente di quella fredda serata dicembrina e soprattutto colpita da un odore intenso e buono che pur non identificandolo le risultò piacevolmente familiare. Fu così che d’improvviso, come mosse dal rullo impazzito di una lanterna magica, le immagini di quella precipitosa serata del lontano 12 dicembre 1957 cominciarono a scorrerle velocemente dinanzi agli occhi.

Aveva circa ventuno anni. Come ogni sera era di ritorno dalla sua fatica pomeridiana e come spesso le accadeva si era fatto molto tardi. Preparava un gruppo di studenti lavoratori all’esame per la licenza elementare e questi, una volta terminata la lezione, non la lasciavano andar via: chi le offriva delle uova “fresche da bere”, chi “due strascinate fatte appena la mattina”, chi le “cime” o le “prime clementine”.

Lei, al solito, rifiutava gentilmente ma con fermezza e cercava di sottrarsi quanto prima a quella morsa affettuosa. E poi quella sera era speciale: era la vigilia di S. Lucia, la sua santa protettrice, e in via Monte di Pietà, la strada principale del quartiere dove abitava si preparava una joajò magnifica.

Fin dal mattino, Pietro il suo fidanzato e tutti gli altri giovanotti suoi amici si adoperavano a preparare una catasta di legna immensa e a quell’ora ormai la joajò doveva essere già bella e accesa proiettando verso il cielo coratino lingue altissime di fuoco.

A lei piaceva quell’aria di festa che la joajò accendeva, quel ritrovarsi tutti insieme intorno a quel fuoco devoto: le sembrava ogni volta di tornare bambina quando si divertiva a danzare al canto delle filastrocche degli anziani. “Taccarèdde, mazze de Pembugglje, de salmiende, liùne d’aminue, s’ammataine e s’appecciaine”.
Arrivò nei pressi del falò trafelata ed infreddolita. Si fece largo tra la gente per arrivare proprio sotto al fuoco. Si avvicinò il più possibile a quelle fiamme vive e saettanti e finalmente vide Pietro che spavaldamente continuava ad alimentare la joajò. Lui la vide e la salutò con un cenno del capo al quale lei ricambiò con un largo sorriso, forse troppo sfacciato: fu forse anche per questo che chiuse gli occhi. Ad occhi chiusi gustò appieno quel momento di calda serenità interiore e come ogni anno una volta raccolta in se stessa invocò in cuor suo la Santa Lucia pregandola di proteggere il suo cammino. Quando riaprì gli occhi Pietro era davanti a lei.

(continua tra due settimane)

giovedì 12 Gennaio 2006

(modifica il 3 Febbraio 2023, 11:45)

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