9 aprile 1876: assalto all’ufficio del dazio

Pasquale Tandoi
Il 18 marzo 1876 il governo nazionale della Destra fu costretto a dimettersi e la presidenza del Consiglio fu affidata ad Agostino Depretis, uno...
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Il 18 marzo 1876 il governo nazionale della Destra fu costretto a dimettersi e la presidenza del Consiglio fu affidata ad Agostino Depretis, uno dei maggiori esponenti della Sinistra. La Destra Storica, dopo aver portato avanti il processo di unificazione politica (con la terza guerra d’indipendenza e la presa di Roma) ed amministrativa dell’Italia, aveva fatto ormai il suo tempo. La Destra, favorendo gli interessi degli industriali del Nord e dei latifondisti del Sud, aveva del tutto ignorato la “politica sociale” e sottoposto le classi più umili ad un fiscalismo oppressivo. Fin dalla formazione dello Stato unitario aveva istituito una serie di tasse e imposte fino alla famigerata tassa sul macinato. Le manifestazioni di protesta si susseguirono numerose in tutta Italia fino a provocare la caduta del governo Minghetti.

Sulla scia degli eventi nazionali, anche a Corato la primavera del 1876 segnò in modo violento la fine dell’amministrazione moderata di Giuseppe Patroni Griffi.

A Corato il malcontento fra gli strati più bassi della popolazione per i nuovi dazi sulla farina e sul pane, tassati per la prima volta, era diffuso, ma niente faceva presagire una vera e propria rivolta. La drammaticità delle condizione socio-economica delle masse contadine di Corato è chiaramente illustrata, sia pure con forti accenti emotivi, da un corrispondente del giornale tranese Il Popolo: “La mancanza di lavoro in tutta la stagione invernale ha messo lo squallore nelle famiglie contadine; l’ostinata mancanza di pioggia ha tenuto e tiene la classe contadinesca nelle angustie più spaventevoli. Il Municipio invece di preoccuparsene continua nelle opere di lusso, che fanno miserando contrasto con fame e miseria. Si vede negata l’acqua, la quale è destinata all’innaffiamento delle piante; si accresce il prezzo delle farine per i nuovi balzelli, si spende fresco denaro per fare ringhiere ai giardini.” Ma era soprattutto il teatro, inaugurato il 5 dicembre 1874, a rappresentare l’emblema del lusso, della mondanità, del denaro pubblico sperperato, dell’arroganza aristocratico-borghese, del contrasto spaventoso con la condizione di fame e miseria delle migliaia di braccianti coratini. “Per quanto è triste la nostra posizione economica, per altrettanto i nostri signorini se la spassano lieti e bivaccando nel restaurant del teatro!!”*

Il giorno 9 aprile a Corato scoppiò una sedizione. Secondo gli avversari del sindaco, oltre diecimila persone sfilarono per lo Stradone, dopo che la scintilla della rivolta era stata accesa in piazza Plebiscito da un gran numero di donne urlanti. Al grido di “Viva il Ministero di Sinistra, abbasso il Municipio“, distrussero i giardini pubblici e incendiarono l’ufficio daziario, lo strumento attraverso il quale il governo e l’amministrazione comunale esercitavano la loro oppressione fiscale soprattutto sui ceti più popolari. Tutto fu distrutto e saccheggiato: i registri, i bollettari, le divise delle guardie, le suppellettili. Per tre ore ci si accanì, con mazze di ferro e con il fuoco degli alberi divelti dai giardini, sulla cassaforte di ferro dell’ufficio e quando si riuscì a scassinarla ciò che era contenuto fu depredato.

Soltanto l’intervento dei carabinieri riuscì poi ad impedire che i più facinorosi si scagliassero contro il Teatro Comunale, tentando di invaderlo e devastarlo.

Il giorno dopo gli appaltatori del dazio con atto legale chiesero all’amministrazione comunale la rescissione del contratto e il risarcimento dei gravi danni subiti. Riferirono che “in quel giorno di orrori” le loro vite avevano corso grave pericolo. Erano riusciti a salvare la pelle infatti grazie alla fermezza d’animo dei fratelli Fiore, i quali “a tutt’uomo si adoperarono a fermare la marmaglia sguinzagliata che voleva anche assaltare la casa dell’appaltatore Salvietti, appena rientrato da Napoli, e assassinarlo insieme all’altro socio Pasquale Bruni, che lì si trovava.”**

Il sindaco, per sua stessa ammissione, fu colto alla sprovvista. Ne ebbe un lieve sentore poche ore prima ma non dette credito alle voci che preannunciavano violenti disordini. Avvertì comunque la Pubblica Sicurezza che in paese correva voce di una dimostrazione popolare nel pomeriggio contro l’esazione dei dazi; invitò il Delegato a chiamare rinforzi ma non fu ascoltato. Il sindaco il mattino del 9 aveva allertato anche gli appaltatori, perché mettessero in salvo i registri e i valori bancari presenti nella cassaforte dell’ufficio.

Il giorno 12 aprile ci fu la convocazione straordinaria del Consiglio Comunale con la partecipazione del Sottoprefetto di Barletta e delle autorità civili e militari, che erano giunte a Corato alle due di notte del giorno 10.

Fu letto un telegramma del Ministero degli Interni in cui si sosteneva che se l’amministrazione comunale non fosse stata in grado di ripristinare la riscossione dei dazi, sarebbe stata considerata decaduta e nominato un commissario prefettizio. Il messaggio si concludeva con “Questo Ministero è deciso mantenere autorità e legge contro chiunque”. I fatti di Corato produssero profonda impressione in tutta Italia ed anche in Europa. La furia distruttrice degli strati più bassi della popolazione coratina aveva provocato un vero e proprio choc. La presenza di una forza pubblica numerosa era la necessità più avvertita, non solo dagli amministratori ma anche dai ceti benestanti che reclamavano la calma e la tutela da parte delle forze dell’ordine, perché “non si ripetessero più le scene vandaliche del memorando giorno del 9 aprile”. Il sindaco Patroni Griffi, che era anche deputato al Parlamento Nazionale, fu invitato ad insistere presso il Governo del Re per ottenere tale presidio militare.

Gli eventi così convulsi e violenti del 9 aprile non potevano rimanere senza conseguenze sul piano politico-amministrativo. Le polemiche furono feroci. Il sindaco Patroni Griffi fu accusato di aver sperperato le risorse finanziarie della città in opere che sicuramente non alleviavano la condizione di miseria della maggior parte della popolazione, come il teatro e i giardini. Gli avversari, riuniti ne “l’Associazione Democratica, lo rimproveravano di essere stato “seguace di un lusso poco conforme alle condizioni della popolazione.”

Sempre il giorno 12, di fronte ad una cittadinanza turbata, Patroni Griffi e i suoi amici in Consiglio Comunale rassegnarono le dimissioni.

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(*) “Il Popolo”, n.34 dell’11 marzo 1876. Tratto da Franco Vangi- Il Teatro Comunale di Corato nell’attività teatrale di Terra di Bari. Edizioni Levante, Bari, 1985. Pagg. 60.
(**) ARCHIVIO COMUNE DI CORATO – Delibere consigli comunali, 1876, n.12.

giovedì 2 Febbraio 2006

(modifica il 3 Febbraio 2023, 14:32)

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