«Ricorda qualcosa? Oppure ho sbagliato persona? Grave di Faraualla, anno 1995». Il messaggio su whatsapp è arrivato all'improvviso, una settimana fa. Diretto, inaspettato. Quasi violento, come la forza di quel ricordo che – 27 anni dopo – si è subito rifatto strada nella mente e nel cuore.
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Il mittente, Manlio Porcelli, è uno speleologo del Cars (Centro Altamurano Ricerche Speleologiche) che, tra le altre cose, anni fa ha partecipato alla prima esplorazione della grotta in cui è stato scoperto l'Uomo di Altamura. Il destinatario, invece, si chiama Alessandro Riti. Coratino doc – seppure spesso in giro per l'Italia ad organizzare eventi – e oggi ha 34 anni. Ma nel 1995 – quando di anni ne aveva solo 7 – ha lanciato nella Grave di Faraualla (un inghiottitoio di origine carsica profondo circa 300 metri, ubicato sulla murgia gravinese) il più classico dei "messaggi nella bottiglia". Il motivo? Scoprire se sul fondo si celasse un corso d'acqua diretto fino al mar Ionio. Porcelli ha ritrovato quella bottiglia e, con lei, chi l'aveva lanciata, chiudendo il cerchio di una storia che unisce il mistero di una leggenda con la sconfinata curiosità di un bambino.
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«Ero piccolo, avevo solo 7 anni e mezzo – ricorda Alessandro – quando Nella Mintrone, un'amica dei miei genitori, mi raccontò una storia che destò la mia attenzione. Nella, che insegnava in una scuola di Gravina, mi parlò di una gita fatta con i suoi alunni sulla murgia, precisamente nei pressi della Grave di Faraualla, e della leggenda che riferì loro la guida che li accompagnò. Secondo questa strana storia, un pastore aveva perso il suo bastone caduto nella grava. Qualche anno dopo lo stesso pastore si recò in visita ad alcuni parenti a Taranto e, con enorme sorpresa, vide il suo bastone custodito nella loro casa. Quando chiese ai parenti come quel bastone fosse finito lì, loro risposero di averlo trovato nel mare Ionio. Naque così la leggenda di un fiume sotterraneo che, dalla Grave di Faraualla, arriva fino a Taranto e finisce in mare».
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«Quella storia mi colpì così tanto – spiega Alessandro – che pregai i miei genitori di portarmi a vedere quel luogo misterioso. La mia intenzione era quella di gettare nella grava una bottiglia di plastica, in modo che potesse galleggiare, con una lettera all'interno, così da scoprire se quel corso d'acqua esistesse davvero. Nella si occupò di scrivere la lettera in cui, narrando la storia del pastore, spiegavamo di voler "verificare se veramente questa grava è attraversata da un corso d'acqua". "Affascinati da questa leggenda – c'era scritto – abbiamo voluto vedere se riusciamo a metterci in contatto con qualcuno e scoprire dove porta, se realmente esiste, il corso d'acqua. Se trovate questo biglietto siete pregati di mettervi in contatto con noi, così potremo ampliare le nostre ricerche". Con, in calce, i nomi di Angelo De Santis – marito di Nella, entrambi nel frattempo andati a vivere a Varese – e Alessandro Riti e un numero di telefono, fisso ovviamente. «Così ci recammo tutti insieme alla grava» prosegue Riti. «Mi feci anche scattare una foto, che conservo ancora oggi con tanto di data (era il 9 settembre), perchè sentivo che era un momento speciale».
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Alessandro non ha saputo più nulla per 27 anni. Fino al 15 febbraio scorso, quando, sul display del suo smartphone è comparso il fatidico messaggio con la richiesta di contatto accompagnata dalla foto di una parte della lettera. «Manlio ha trovato la bottiglia un paio di anni fa, nel corso di una esplorazione nella grava. Poi l'altro giorno è riuscito a rintracciarmi su Facebook, dove ha reperito anche il mio numero di cellulare, e mi ha scritto» continua Alessandro. «Ho letto il messaggio e, dopo qualche secondo, mi è subito tornato in mente tutto quello che era accaduto 27 anni fa e che non avevo mai dimenticato. Ho provato una grande emozione, davvero non stavo più nella pelle. A un tratto ho pensato: ma allora il fiume esiste davvero! Poi lo speleologo mi ha spiegato di aver ritrovato la bottiglia a circa 250 metri di profondità. È stato davvero un evento speciale, una magìa: da piccolo volevo fare il vulcanologo, poi con il passare degli anni l'interesse è svanito, ma appena ho saputo del ritrovamento della bottiglia, la lampadina si è riaccesa: ora – promette Alessandro – voglio esplorare la grava per scoprire se il fiume esiste davvero».
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