L'intervista

Dietro le quinte dell’Italia campione d’Europa: il “sogno azzurro” di Roberto Colella

Francesco De Marinis
Francesco De Marinis
Roberto Colella microfona Roberto Mancini
Roberto Colella ha vissuto gli ultimi dieci mesi della Nazionale di Mancini da una posizione privilegiata. È stato il fonico di "Sogno azzurro", il documentario sull'Italia campione d'Europa
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La finale degli Europei tra Italia e Inghilterra Roberto Colella l’ha vista a Roma, con amici. Quando Donnarumma ha parato il rigore decisivo a Bukayo Saka, inevitabilmente ha pianto. La vittoria azzurra l’ha vissuta attraverso uno sguardo privilegiato, dall’interno e senza filtri, vivendo calciatori e allenatore non come eroi ma come persone normali, con le loro passioni. Roberto è stato il fonico di “Sogno azzurro”, il documentario sul percorso azzurro verso il Campionato Europeo, andato in onda in prima serata su Rai 1.

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Coverciano, da sempre, è la roccaforte della Nazionale. Non un’iperbole, quanto un dato di fatto. Nel centro federale le telecamere non sono mai entrate, o perlomeno non così come la troupe di “Sogno azzurro” ha fatto: da vicino, in ogni aspetto del ritiro, dalle sessioni in palestra al ristorante, dagli spogliatoi alle camere d'albergo. Un lavoro che Roberto definisce spesso "di frontiera". Scandagliare il lato più intimo di giocatori e staff tecnico in presa diretta. Un filone affermatosi negli ultimi anni con diversi doc come All or nothing, su Juventus e Manchester City. Qui, forse, si scava ancora di più.

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Quando è cominciata la tua avventura?

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Il progetto è partito a settembre, io mi sono unito a novembre. Mi chiamò Manuele Mandolesi, operatore e regista della seconda parte di Sogno Azzurro con il quale collaboro spesso. Lui è un ottimo documentarista. L'anno scorso ha vinto il "Globo d'oro" con "Vulnerabile bellezza", il racconto delle aree colpite dal terremoto. Sono entrato in punta di piedi.

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La giornata tipo?

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Dormivamo vicino a Coverciano e, sin dalla mattina, seguivamo i ragazzi con impegni schedulati. Capitava l'intervista posata a tecnici e calciatori, poi la parte live dove registravamo anche i momenti di distensione. Ad esempio, microfonavo il preparatore o Mancini durante gli allenamenti per rubare quei momenti che raramente vengono raccontati. Non eravamo molti: io e due operatori che seguivamo le indicazioni degli autori.

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Solo Coverciano?

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Seguivamo la squadra in tutte le partite d'avvicinamento agli Europei. Io ho preso parte a tutte le gare casalinghe e alla trasferta di Sofia. Cablavo gli spogliatoi per carpire le indicazioni del mister e poi passavo a bordocampo.

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Per lo spin off Road to Wembley invece, come lavoravi?

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Gli Europei hanno diritti televisivi specifici, quindi non potevamo documentare con la stessa libertà. Gli azzurri erano in ritiro a Coverciano, partivano per il match un giorno prima e ripartivano la sera stessa. Un solo operatore seguiva la squadra durante le partite. Io ho partecipato a "Road to Wembley" dagli ottavi e sono rimasto sempre a Firenze, fino alla vigilia della finale quando ho salutato tutti. 

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E dove vedevi le partite?

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Lì, in tv, con gli autisti delle navette della Nazionale.

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Che significa vivere un'esperienza come questa?

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Vedi un mondo che di solito ti viene negato, percependone la sua dimensione più intima. Sia chiaro, è un lavoro quindi rimani sempre un passo indietro, nell'ombra. Però indossi la loro stessa maglietta, condividi certi momenti, sei uno di loro. Viaggi nello stesso pullmino, ceni allo stesso ristorante, sei lì quando organizzano una grigliata per festeggiare la vittoria di una partita.

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E per loro?

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Si abituano alla mia presenza, nonostante abbia addosso tanta attrezzatura e fisicamente non sia proprio un tipo che passa inosservato.

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"Sogno azzurro" ha cambiato il tuo modo di percepire il calcio?

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Sì, perché mi ha restituito una dimensione più umana dei calciatori. Quando Donnarumma ti da un buffetto, passando, non è più il calciatore che ha firmato per 12 milioni con il Psg, ma un ragazzo normale. Ritornano ad essere persone che hanno fatto un percorso di vita differente trovando il successo grazie al fatto che sono bravissimi nel loro mestiere. Ecco, dopo un po' non senti più lo scarto.

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C'è qualcuno che ti ha impressionato più di tutti?

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Roberto Mancini. Ci avevo lavorato già una volta, per un documentario su Dzeko. Ha la nomea dell'antipatico, di una persona troppo sicura di sé. Invece ho incontrato un uomo di grande carisma, molto dedito all'ascolto ed estremamente gentile. Non urla. Parla e viene ascoltato.

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Tra i calciatori invece?

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Ho scoperto, ad esempio, che Pessina è un ragazzo di grande cultura. Jorginho, invece, è molto dedito al lavoro. Dopo la partita si rivede per capire i suoi errori. In generale è gente educata e molto semplice, nonostante il mondo in cui vivono, quasi distaccato dalla realtà. Loro sono lì per giocare a pallone, cosa che amano fare.

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Con chi hai trovato un certo feeling?

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Con Claudio Donatelli, il preparatore atletico. Abbiamo interessi e amici in comune. Come dicevo prima ero lì per lavorare. Microfonavo Mancini come avrei microfonato te, nonostante lui sia stato uno dei miei idoli da ragazzino. È importante mantenere questo distacco, sennò il prodotto perde di spontaneità. 

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E Coverciano com'è?

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Un mondo chiuso dove vive una grande famiglia. Ci sono cuochi e camerieri storici. Ce n'è uno, prossimo alla pensione, che aveva servito Mancini quando era calciatore.

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Hai parlato di grande famiglia. Il gruppo è stato una componente importante per la vittoria finale.

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Me ne sono reso conto fin dal primo giorno. Ho percepito – può sembrare esagerato ma è così – amore. Qualcosa che mai mi sarei aspettato in una squadra di calcio. Sentivo che sarebbero arrivati in fondo. 

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Raccontami i giorni prima della finale.

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Sono stati gli ultimi con loro. Uno dei momenti più belli è stato il discorso fatto da Gianluca Vialli che sta combattendo con la malattia (apparso in "Sogno azzurro" ndr). Il tasso emotivo era altissimo. Diversi giocatori si sono commossi.

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E la finale?

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A Roma, con gli stessi amici con cui avevo visto le gare dei gironi. Mi sono commosso tantissimo perché quelle persone che vedevo in tv le conoscevo, ci avevo avuto a che fare, li avevo microfonati uno alla volta. Lì ho potuto indossare nuovamente i panni del tifoso.

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Quello sulla Nazionale non è stato il tuo unico documentario sportivo.

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Ne ho fatti diversi con la Roma. Sono stato a Sarejevo per raccontare Dzeko, o in giro per l'Italia per commemorare l'ultimo scudetto vinto dai giallorossi. Quello a cui sono più legato è senz'altro il viaggio in Brasile per intervistare Falcao. Sono stato a casa sua e ho fatto da interprete, visto che parlo portoghese. Mi ha regalato una maglia del Brasile con il suo numero, il 5, e una dedica. In quell'occasione parlai al telefono con l'arbitro che diresse Italia-Germania dell'82.

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Anche in quel caso il tuo lavoro ti ha restituito qualcosa di inestimabile.

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Sono esperienze incredibili, che puoi raccontare ma soprattutto puoi raccontarti. La bellezza del mio lavoro è entrare dentro la vita degli altri e poterci stare. Seguirne il corso con un microfono in mano.

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venerdì 27 Agosto 2021

(modifica il 3 Agosto 2022, 4:04)

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Felix 68
Felix 68
2 anni fa

Complimenti x il tuo lavoro e ti auguro tanti altri programmi di questo genere Bravo????????????

Cataldo Ferrara
Cataldo Ferrara
2 anni fa

Leggendo il tuo articolo si capisce non solo la dedizione con la quale lo svolgi ma anche la tua professionalità, la tua discrezione ma soprattutto la descrizione della normalità nella quale vivevano i calciatori. Probabilmente questi sono stati gli elementi fondanti sui quali hanno impiantato la loro vittoria finale. Grazie per il racconto..????????????????