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Un’icona di pace e musica: il mito di John Lennon a 25 anni dalla sua morte

La Redazione
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L’appassionato ricordo di Vincenzo Pastore, un nostro lettore che intende così celebrare i 25 anni trascorsi dalla morte di John Lennon, avvenuta l’8 dicembre del 1980.

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"The dream is over": così titolavano i giornali all’indomani dell’assassinio di John Lennon a New York, l’8 dicembre 1980. Sono passati ben venticinque anni da quel giorno, da quella tragica notte. Il sogno però vogliamo credere non sia finito, perché non può esaurirsi tutto nella folle mano di un idiota cui è giusto non riservare tanta fama: avrà anche messo fine alla vita terrena di Lennon, ma non ha certamente messo fine al Lennon pensiero, al Lennon personaggio, al suo messaggio, alle sue canzoni.

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E’ il destino degli artisti, specie quelli scomparsi prematuramente, di continuare a vivere oltre i confini temporali della loro esistenza. John Lennon ne è un esempio. Quella morte così assurda lo ha consacrato come icona musicale del rock, quel rock che nella sua giovane storia ha visto tante sue immagini abbandonarci poco più che uomini maturi (da Lennon a Jimy Hendrix, da Jim Morrison a Janis Joplin, da Brian Jones, a Freddie Mercury..).

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Ma dietro il fondatore dei Beatles, dietro questa maschera da rock-star idolatrata c’era un uomo dalle tante debolezze e fragilità, segnato da un’infanzia tragica in cui era stato abbandonato dal padre e aveva visto la madre morire in un incidente, e che spesso affidava alle sue canzoni e alle sue parole la propria sofferenza, il proprio stato d’animo inquieto, la sua ribelle personalità. Una personalità che si esprimeva nelle mille facce che John aveva: se prendessimo una foto del 1966 e poi una del 1967 troveremmo due persone completamente diverse. C’è il Beatle del primo periodo con i capelli a caschetto e l’intellettuale con i suoi classici occhialini e i baffi del periodo di Sgt. Pepper.

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Era abbastanza allergico alle formalità da protocollo, ai cerimoniali da rispettare con ossequiosa ubbidienza, all’ipocrisia delle dichiarazioni perbeniste. Ed è per questo che spesso seppe fare scandalo…

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Come quando nel 1963 al Royal Variety Show, durante un’esibizione dei Beatles a cui stava assistendo anche la regina madre, prese il microfono e disse : "Quelli che stanno seduti ai posti più economici possono battere le mani, gli altri facciano tintinnare i loro gioielli!". O come quando nel 1966 in un’intervista dichiarò che i Beatles erano più famosi di Gesù Cristo: era un evidente provocazione supportata dal fatto che il gruppo stava dando concerti praticamente in ogni parte del globo. Ma soprattutto la zona cattolica americana più integralista si scagliò contro queste frasi, organizzando grandi falò in cui venivano bruciati i dischi dei Beatles. Quando invece restituì l’MBE (l’onorificenza britannica conferita ai Fab-Four nel 1965) per protestare contro l’intervento britannico nel Vietnam furono in molti a leggerlo come un gesto di lesa maestà.

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Seppe andare controcorrente anche nella sua unione sentimentale con Yoko Ono. Da sempre ritenuta a torto la causa principale dello scioglimento dei Beatles (Lennon dichiarò "Ci siamo sciolti perché eravamo annoiati, e la noia crea tensione"), Yoko fu davvero una musa ispiratrice (grazie alla lettura di un suo libro, "Grapefuit", nacque Imagine) per John, che con lei riuscì a trovare la donna che cercava fin da quando aveva perso la madre. Più che una relazione, fu una sorta di comunione, artistica e spirituale che dovette combattere come detto l’avversione dei fan e dei media, irritati dal fatto che una star potesse innamorarsi di una sconosciuta qualunque, per di più giapponese ed esteticamente non bellissima. Ma questa non fu nient’altro che l’ennesima rottura degli schemi, magari inconscia, l’ennesimo messaggio che Lennon volle dare.

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Yoko entrò in gioco (1967) quando i rapporti fra i quattro Beatles si stavano pian piano deteriorando. Il dualismo Lennon – McCartney, fin qui splendida alchimia per le sorti del gruppo, stava cominciando ad assumere connotati di vera e propria insofferenza: le aspirazioni soliste avevano comprensibilmente sostituito le logiche del gruppo.

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Molto diversi tra loro, John Lennon e Paul McCartney seppero compensarsi e integrarsi reciprocamente sia nella loro amicizia sia nel loro rapporto professionale: se McCartney era più attento alla costruzione melodica delle canzoni, Lennon andava alla ricerca di un testo più profondo, risentendo più degli altri tre dell’influenza di Dylan. Lo scioglimento portò negli anni successivi a punzecchiature a distanza tra i due, con Lennon sarcastico che rimproverava al suo vecchio compagno una certa banalità nelle parole delle sue canzoni (le cosiddette «silly songs»). Ma restava alla base una stima e ammirazione reciproca.

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Chissà come John avrebbe commentato la straordinaria attualità delle parole di "Imagine", datata 1971 ed eletta canzone del secolo: avrebbe forse  ripetuto alcuni versi di quel capolavoro. YOU MAY SAY I’M A DREAMER MA I’M NOT THE ONLY ONE, forse sono un sognatore ma non sono il solo…

giovedì 8 Dicembre 2005

(modifica il 14 Luglio 2022, 13:40)

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